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Ulisse e il Ciclope, lo straniero e il diverso
Come due facce della stessa medaglia

Ulisse e il Ciclope, lo straniero e il diverso Come due facce della stessa medaglia

TINDARI

Lo straniero e il diverso come due facce della stessa medaglia, tra esclusione, disorientamento solo mitigato da briciole d'accoglienza, contraddizioni, sete di conquista e perdita. Il “Ciclope” di Euripide, l’unico dramma satiresco giunto integro sino a noi, offre una rilettura d’uno dei miti più cari alle genti del Mediterraneo, quello di Ulisse e del Ciclope e si mostra ancora oggi capace di coinvolgere e affascinare, scandagliando, attraverso una chiave tragicomica, l’animo umano, con le sue debolezze, paure, desideri.

Gioca abilmente con le sfumature, muovendosi tra atmosfere grottesche, poetiche e drammatiche, riconsegnando una vicenda dalle molteplici chiavi di lettura, la regia proposta dal messinese Angelo Campolo, co-produzione della compagnia Daf-Teatro dell’Esatta Fantasia, presieduta da Giuseppe Ministeri e Teatro dei due Mari, in scena al teatro Greco di Tindari per la 17. edizione del festival “Teatro dei due Mari”.

Il Ciclope, interpretato da Edoardo Siravo, energico e burbero condottiero in disgrazia, cinico e disilluso, è “diverso” poiché dotato di un solo grande occhio, vive da pastore, si ciba di latte, formaggi, carni, schiavizza chiunque gli stia a tiro ma è condannato ad una solitudine senza speranze. Gli fa da contraltare Ulisse, l’attore Eugenio Papalia, spavaldo e dinamico in anfibi e mimetica, straniero approdato nell’antro dell’orco in cerca d’ospitalità in nome dei valori democratici di cui è portatore.

Il terreno dell’azione è infido, ingannevole, aspro, tra i due contendenti si muovono le figure di Sileno e dei Satiri, seguono l’evolversi della contesa non senza parteggiare talvolta per il fascinoso straniero. Forte d’una saggezza propria dell’età e delle nozioni filosofiche che ne accompagnano l’agire, Sileno, interpretato da Giovanni Moschella, dà vita a scambi efficaci, ora giocosi, ora divertiti, ora ironici coi quattro Satiri, ovvero Francesco Natoli, Michele Falica, Patrizia Ajello e Tony Scarfì che aprono e chiudono la vicenda, inneggiano a Dioniso, si mostrano vivi e vitali, animati da una natura selvaggia e libera nonostante le catene a cui sono avvinti e occupano la scena tra danze tribali e gesti reiterati, a curare i movimenti scenici Sarah Lanza.

Campolo ambienta il suo racconto in una Sicilia alleggerita da luoghi comuni: la scena, di per sé è ammantata di grecità, è sovrastata solo da un grande occhio che accompagna tutta la narrazione – scene e costumi di Giulia Drogo – quasi a presagire l’accecamento e la tragedia finale che vede Ulisse salvarsi grazie ad astuzia e inganno e il Ciclope cadere ferito, sconfitto, tra fiumi di vino, rabbia e rancore. Alla scrittura di Euripide, brillante, ironica, con versi perfetti che parlano di democrazia, sete di potere, di valori alti che si scontrano con desideri e pulsioni vili degli uomini, Campolo – nella traduzione di Filippo Amoroso – innesta altri spunti e parole nuove, pronunciate con tormento, tenerezza, strazio, da puntuale contrappunto le musiche originali di Marco Betta, sound designer Giovanni Puliafito, assistenti di regia Simone Corso e Adriana Mangano. Dopo il debutto, lo scorso 24 maggio, recite sino al 3 giugno, poi in repliche al Festival Internazionale di Ravenna nel porto di Classe (Ra) il 7 e l’8 luglio.

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