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Partenza da Messina e arrivo nel cuore della musica

Partenza da Messina e arrivo nel cuore della musica

Humpty Dumpty è un musicista messinese che ha scelto uno pseudonimo di ascendenza ludico-letteraria. In un’epoca in cui sembra trionfare il più bieco nazionalismo, il recupero delle proprie coordinate geografiche e biografiche non è un anacronistico restringimento dentro angusti confini ma semmai un universale afflato di sprovincializzazione.

Così “Messiness”, ultimo disco di Humpty Dumpty (al secolo Alessandro Calzavara) autoprodotto e scaricabile gratuitamente on line, contiene nel titolo il rimando ai natali peloritani e nello stesso tempo alla confusione e al disordine che governano la grama esistenza della disillusa progenie del terzo millennio, di cui non sempre ci pregiamo di fare parte.

L'intento di Humpty Dumpty è quello di rispondere con ponderata frenesia alle istigazioni musicali che ne permeano la creatività, frapponendo una diga sonora, costruita con citazioni colte, alla deriva borghese cui il pop-rock sembra spesso inevitabilmente destinato. Che i riferimenti siano a Robyn Hitchcock o Julian Cope, piuttosto che ai Jesus And Mary Chain o ai Durutti Column, o che gli Smiths facciano a gara con gli Psychedelic Furs per disputarsi una dissonanza disponibile, può certamente solleticare lo spirito collazionista dell’ascoltatore più enciclopedico ma non diminuisce l’intensità delle buone vibrazioni che vellicano anche l’orecchio meno avvertito. Humpty Dumpty, insomma, è una sorta di amanuense della musica che però non si limita a una pedissequa trascrizione del già sentito. La vocazione archivistica, per fortuna, è sovrastata dall’ambizioso piano di stravolgimento che riassembla strofa e ritornello secondo codici personali e misteriosi.

Ecco allora che “Open”, brano introduttivo di “Messiness”, è arduo esercizio stilistico che avalla, mescolando folk ed elettronica, la liceità del pop più accattivante.

“The brood”, il cui titolo fa riaffiorare reminiscenze cinematografiche che portano dritto a David Cronenberg, si affida a un riff di chitarra che non dispiacerebbe al Walter Becker degli Steely Dan e s’incunea perfido nel ritmo seriale della drum machine per evocare l'onirico smarrimento dell'identità individuale. “Depth”, invece, risuona come una millenaristica apologia dei Dead Can Dance e la sua dimensione escatologica si trova al bivio di effluvi contrapposti: incenso o zolfo. La cover di “To Get Inside”, degli israeliani Minimal Compact, si compone della desertica contrizione che secerne quotidianamente una terra affamata di pace, mentre in “Faith” l'uso intensivo del sintetizzatore fa di Humpty Dumpty un allievo indisciplinato del Rick Wakeman dei tempi migliori. Infine “Biopolitcs” e “Submission” registrano la sconcertata e referendaria assuefazione alla sistematica distorsione della democrazia.

“Messiness” è un disco atipico nello stagnante panorama italiano, i cui sommovimenti sono legati esclusivamente al mediocre magma dei talent show. Ma la vera musica è diuturna fatica, suggerisce Humpty Dumpty, presumibilmente seduto davanti a uno schermo spento.

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