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Il ritorno a casa di Gilda Buttà

Il ritorno a casa di Gilda Buttà

La pianista Gilda Buttà sarà la solista d’eccezione del Concerto di Capodanno, in programma domani a Messina (ore 18,30) con l’Orchestra del Vittorio Emanuele. Sul podio Marco Alibrando. Nata a Patti 56 anni fa, Gilda Buttà è famosa in campo internazionale, soprattutto quale esecutrice delle composizioni di Gershwin e di celebri musiche da film, a cominciare da “La leggenda del pianista sull’oceano” (colonna sonora di Ennio Morricone, regia di Giuseppe Tornatore), per continuare poi con “La voce della luna” di Fellini, “Palombella rossa” e “Caro diario” di Moretti, “Gli intoccabili” di De Palma e tantissimi altri. L’abbiamo incontrata appena arrivata a Messina.

Concerto di Capodanno con il suo amato Gershwin (“I Got Rhythm Variations”e“Rhapsody in Blue”): cos’è per lei questo autore? «Con Gershwin è stato un incontro casuale e automatico, nel senso che era già dentro di me. Tanti anni fa me lo propose Gianni Ferrio. Quel maestro era un coltissimo musicista, per me è stato un secondo padre. Con lui, al Sistina di Roma, ho eseguito per la prima volta “Rhapsody in Blue”. Fu per me la scoperta concreta di un grande autore, simbolo del suo tempo ma anche rinnovatore, legato comunque al mondo della musica classica. Adesso l’ho eseguito e inciso tutto, mi manca il “Concerto in fa”, arriverà anche quello».

Musica classica, colonne sonore, jazz, docenza al Conservatorio: chi è Gilda Buttà? «Ancora non l’ho capito. Sono curiosa, mi piace esplorare, vorrei una vita doppia per sperimentare altro. Penso, per esempio, a Ravel e Tchaikovskij. Da giovane ho suonato Mozart e Rachmaninov, poi sono arrivata a Morricone passando per Piazzolla. Mi piace eseguire cose diverse, anche se forse non suono tutto bene. Sono un animale strano, non so neppure io dove mettermi».

La collaborazione con Morricone è la più nota. La sua esecuzione delle musiche de “La leggenda del pianista sull’oceano” rimane un evento: come definirebbe quella esperienza? «Un colpo di fortuna! Avrebbero potuto chiamare chiunque. Io ero convinta che le colonne sonore non erano solo pop. In quel film la musica doveva essere sostanza oltre che virtuosismo, proprio perché è la storia di un pianista. E fu importante anche il contributo di Tornatore, regista che ha orecchio e gusto musicale».

Lei è stata sposata con Michel Petrucciani, il pianista che, nonostante una terribile malattia genetica, è stato fra i grandissimi del jazz mondiale. Cosa ricorda di quel periodo? «Ho avuto il privilegio di veder nascere in casa registrazioni oggi considerate straordinarie. Il nostro era un confronto-scambio di idee tra jazz e musica classica. Forse lui ha influito sul “mio” Gershwin. Ed era naturale avere tra noi tanti grandi: i miti sono essere umani che hanno lavorato sodo. In quell’atmosfera “normale” era impossibile percepirli come miti».

Adesso è sposata con il violoncellista Luca Pincini e spesso fate concerti insieme: quale musica vi unisce? «Siamo simili nella voracità: dall’integrale di Beethoven (per piano e violoncello) a Morricone, Piovani e Bacalov abbiamo registrato di tutto. Adesso sta per uscire il terzo cd della serie di 50 brani che abbiamo commissionato ad autori italiani».

Lei è nata a Patti: che legame mantiene con le sue radici? «Sono orgogliosa di essere siciliana, e pattese in particolare, anche se non mi nascondo limiti e difficoltà del vivere qui. Suonare qui mi fa tornare a casa e mi dà sempre un’emozione forte perché mio padre ha insegnato al conservatorio in questa città, dove ho tanti amici. Ricordo quando, da piccola, mi portava ai concerti della Filarmonica Laudamo».

 È vero che ha avuto i primi insegnamenti in famiglia? «Sì. A 4 o 5 anni, appena mio padre usciva io mi sedevo al pianoforte e strimpellavo. Una volta lui ha fatto finta di chiudere la porta e invece è rimasto a sentirmi. Da allora mi ha avviato allo studio, senza mai forzarmi. Ricordo con gioia quando ha cominciato a farsi accompagnare da me mentre suonava il violino. Poi è diventato il mio primo fan, anche se non gli piaceva la musica da film. Mi diceva: “Non è meglio suonare Liszt?”».

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