Dopo soltanto due giorni dall’ultima replica di Toni Servillo, con il suo emozionante omaggio alla poesia - e, più in generale, alla cultura - partenopea, l’Ente Teatro ha proposto ieri sera al “Vittorio Emanuele” il secondo titolo del proprio cartellone: “Giù” di Spiro Scimone, con la regia di Francesco Sframeli.
Una denuncia indignata, forte e chiara, contro i mali di una società, la nostra, indifferente e ipocrita, che davanti ai problemi preferisce far niente di niente piuttosto che affrontarli. Un pugno in faccia, quello che il drammaturgo messinese intende sferrare a tutti noi, parlando di temi scomodi e facendolo con coraggio e in maniera diretta, com’è nel suo stile, senza mezze misure: basti vedere l’immenso gabinetto collocato da Lino Fiorito (a cui si devono le scene) sul palcoscenico del “Vittorio Emanuele”, dal quale fanno capolino i personaggi della piéce: a cominciare dal Figlio (interpretato dallo stesso Scimone), che ringrazia il Papà (Gianluca Cesale) per aver costruito con i suoi sacrifici e per avergli così potuto dare “un futuro in quel cesso…!”.
“Giù”, poi, è anche un inequivocabile atto d’accusa contro certi comportamenti che hanno caratterizzato la Chiesa: gli abusi nei confronti di ragazzini e il colpevole silenzio di chi sa e non parla. E’ proprio in fondo alla tazza che il Sagrestano (impersonato da Salvatore Arena), dopo aver subito soprusi e violenze per tanti anni da padre Sergio, trova il coraggio di ribellarsi; e sempre giù don Carlo (Francesco Sframeli) ammette finalmente di avere saputo sempre tutto e di non aver mai denunciato niente.
In fondo a quel cesso stiamo finendo - o, forse, siamo già finiti - tutti, sembra avvertirci Scimone. Anche se comprendiamo che qualcuno possa rimanere interdetto per la crudezza del messaggio (e per l’inconsueta scenografia), la piéce ci è piaciuta, sembrandoti compiuta ed efficace, lasciando intravedere peraltro - nonostante tutto - un bagliore di speranza: basti considerare il comportamento del Papà, che prima aiuta gli altri a sporgersi e che alla fine decide di infilarsi egli stesso nel gabinetto.
E riesce anche ad avere, com’è nello stile dell’autore, più di un momento divertente.
Ma c’è davvero poco da ridere…