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1943, l’olocausto di
una città “fantasma”

“Sono un ex giovane nato a Messina nel 1930 dove vivevo nel 1940. La mattina del 10 giugno di quell’anno, ascoltando alla radio la dichiarazione di guerra di Mussolini, dal fatidico balcone di Piazza Venezia, vedevo mio padre piangere e non ne comprendevo il motivo…” Comincia così il pamphlet, che si legge tutto d’un fiato, dell’ingegnere Nico Galatà, in cui egli racconta le drammatiche vicende vissute insieme ai familiari dalla dichiarazione di guerra del 10 giugno 1940 fino alla fine di quella follia collettiva che fu il secondo conflitto mondiale. La pubblicazione, stampata in proprio, ripercorre, attraverso le tappe della vita familiare, la storia d’Italia a partire dalla Prima guerra mondiale, anche se il periodo clou su cui si sofferma l’autore è quello che va dal 1940 al ’45. Nico conserva, soprattutto, un ricordo nitido dei bombardamenti anglo-americani che lui descrive minuziosamente. A partire dall’allarme che, in piena notte, squarciava i timpani e il cuore dei messinesi, per annunciare l’arrivo degli aerei inglesi provenienti da Malta, che avevano l’ordine di fare rotta bassa, passando da Ganzirri con obiettivi ben precisi: il porto, la stazione, la ferrovia. O dei bombardieri americani, che volavano altissimi per sfuggire ai colpi dell’antiaerea. Quante corse, su e giù per le scale, fece Nico, che si affannava per salire sul lanternino a controllare se le navi erano già in porto o in missione, e tranquillizzare cosìla madre e la zia, perché c’era il povero zio Italo che faceva il telemetrista a bordo dell’incrociatore Bolzano. Le sirene erano dislocate un po’ ovunque, ma una delle più potenti era quella situata sul terrazzo del “Grand Hotel”, che allora si trovava in pieno Viale San Martino, nei pressi dell’ex Upim. Il papà di Nico aveva rimediato alla bell’è meglio un rifugio nelle cantine del palazzo, l’allora is. 78. Così, in pigiama e con le coperte sulle spalle, tutti gli inquilini si ritrovavano lì, impauriti e infreddoliti. Nel ‘43 i bombardamenti si fecero più intensi, con conseguenze letali per i messinesi. Tuttavia i problemi per Nico erano solo all’inizio! La mattina del 30 gennaio di quell’anno, lui, tredicenne, aveva un solo obiettivo: quello di giocare con alcuni amichetti vicini di casa a “calcio da tavola”, con i pupazzetti ricavati dalle pedine di una tombola e una palla arrangiata con i tondini degli allacci delle tende. Improvvisamente scattò l’allarme. Nico cercò di raggiungere il rifugio, ma lo spostamento d’aria causato dalle bombe non glielo permise. Fu scaraventato in aria e rimase scosso e ferito. La scena che gli si presentò dopo fu raccapricciante. “Tentai – dice di passare dalle parti di Sant’Antonio, ma superato l’incrocio con la via Santa Cecilia, vidi diversi cadaveri. Una scena che non potrò mai dimenticare.” E sarà dedicata proprio a “Messina sotto le bombe", la trasmissione "Messina c'è" condotta da Mino Licordari in onda stasera su RTP. I bombardamenti degli aerei alleati che nel '43 (ricorre quest'anno il 70. anniversario) fecero di Messina una vera "città fantasma". Così la definirono, infatti, gli anglo-americani, che non riuscivano a capire come, dopo l’incredibile quantità di bombe scaricata sulla città-martire (e medaglia d’oro al valor militare), gli edifici apparissero alle successive ricognizioni aeree sempre in piedi. Effetto del cemento armato, con cui era stata ricostruita Messina dopo il devastante terremoto del 1908. L’esplosivo sventrava, praticamente, i palazzi, e lasciava ritti i muri portanti. Per cui, dall’alto, la città sembrava miracolosamente intatta. Il prof. Enzo Caruso, che ha coordinato il ricordo di quegli eventi, sarà affiancato, stasera, di testimoni autorevoli, che racconteranno la vera storia di quei giorni terribili. Tra i "Ragazzi del '43" ospiti della RTP, lo scrittore Gery Villaroel, l'on. Paolo Piccione, il prof. Giulio Santoro, lo stesso Nico Galatà e il cantastorie Gianni Argurio. Saranno anche presenti, Angelo Carisi, direttore del Museo della storia e dei bombardamenti del rifugio Cappellini, Renato Colosi, presidente dell'Associazione vittime civili di guerra, Alfio Seminara, già direttore dell'Archivio di Stato. Ed ancora, Andrea Bambaci, Gianmichele Iaria, Giovanni Russo, Corrado Lojacono e Pippo Galletta. Nel 1943 Messina subì 4 bombardamenti navali e 2.805 bombardamenti aerei. Le “Fortezze Volanti” e gli altri aerei alleati sganciarono sulla città complessivamente 6.542 tonnellate di esplosivo. La Zona falcata fu, in particolare, uno degli obiettivi “sensibili”delle incursioni aeree, per la presenza, nella zona portuale, di impianti ferroviari, depositi munizioni, invasature delle navi, batterie antiaeree. Secondo il prof. Enzo Caruso, direttore del Museo Storico di Forte Cavalli, “la Difesa dello Stretto di Messina, pianificata e comandata dall’ufficiale di artiglieria tedesco, il tenente colonnello Ernst- Günther Baade, con le sue batterie antinave e antiaeree, riuscì comunque a garantire la ritirata dall'isola delle truppe italo-tedesche e l'attraversamento tra le due sponde, che venne giudicato, per l’imponente azione militare, come una delle più clamorose ritirate per mare di tutta la guerra”. I tedeschi riuscirono infatti ad evacuare 40.000 uomini, 9.600 veicoli, 47 carri armati, 94 cannoni, 2.000 tonnellate di munizioni e carburante e 15.000 tonnellate di materiale vario; mentre gli italiani passarono nella penisola con 62.000 uomini, 227 veicoli e 41 cannoni. Dal 20 luglio al 17 agosto, con bombardieri di media grandezza e bombardieri dacombattimento, furono effettuate 2.514 missioni contro le postazioni e le altre strutture militari presenti su entrambe le coste; ma si scontrarono con quella che fu, molto probabilmente, come aggiunge il prof. Caruso “la più forte e concentrata contraerea dell’intero conflitto. Grazie ad essa infatti, i bombardamenti degli Alleati furono eseguiti con scarsa precisione”. Non a caso i piloti inglesi della RAF dichiararono, che “la potenza di fuoco delle batterie dello Stretto fu superiore a quella con cui i tedeschi difesero il cuore industriale della Ruhr”. Il numeroso munizionamento rinvenuto negli anni del dopoguerra (di cui ancora si trovano residuati durante gli scavi per la costruzione degli edifici), ricorda Caruso, disinnescato dagli artificieri dell’allora Direzione di Artiglieria di Messina, è esposto presso il Museo Storico di Forte Cavalli.

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