
Sapeva che l’impresa era mafiosa, ma non ha mai fatto nulla per renderla “pulita”. È sostanzialmente questa la motivazione con cui nei mesi scorsi i giudici del Riesame di Messina hanno confermato le accuse di concorso esterno all’associazione mafiosa e peculato per il commercialista non ché presidente dell’Ordine etneo, Salvatore Virgillito, l’amministratore giudiziario dell’impresa confiscata.
Si tratta dell’inchiesta della Procura di Messina diretta da Antonio D’Amato sulla “gestione mafiosa” di beni confiscati a Barcellona Pozzo di Gotto. Che in questo caso ha riguardato la storica azienda attiva nel settore dello smaltimento dei rifiuti urbani e speciali, e nella demolizione di veicoli, intestata fin dalla sua creazione, nel 1980, a Carmela Bellinvia, la madre dei fratelli Salvatore e Domenico Ofria.
Il collegio presieduto dal giudicie Massimiliano Micali ha depositato ieri le motivazioni della decisione assunta nelle scorse settimane, con cui aveva confermato le accuse principali e aveva deciso gli arresti domiciliari invece del carcere per Virgillito, cassando a suo favore un capo d’imputazione che riguardava un caso di intestazione fittizia di beni.
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