
L’ultimo atto si è compiuto. La condanna è divenuta definitiva. E mentre i due avvocati di parte civile parlavano, ieri mattina, caso strano proprio in quel momento, due piccioni sono entrati svolazzando nell’aula austera della Cassazione e si sono come bloccati sul pavimento marmoreo, rimanendo immobili per parecchi minuti, rivolti verso i giudici. Poco prima si erano avvicinati alla sorella della vittima, Silvia, anche lei avvocata.
La donna che con la sua testardaggine e il suo coraggio, e con la denuncia presentata nell’estate del 2017, ha portato avanti in questi anni una battaglia che tutti, le dicevano, sarà inevitabilmente persa. L’hanno interpretato tutti come un segno del destino, mentre uscivano di fretta dall’aula romana per attendere la sentenza. Che è arrivata nel primo pomeriggio di ieri, dopo un paio d’ore di camera di consiglio.
E la decisione è chiara. La sentenza di condanna per “l’untore” da ieri è diventata definitiva. La prima sezione penale della Cassazione, il terzo grado di giudizio, ha infatti rigettato il ricorso del 60enne Luigi De Domenico, ritenuto responsabile del reato di omicidio volontario dell’allora compagna, l’avvocata 45enne S.G., deceduta nel luglio del 2017 dopo atroci sofferenze, diagnosi e cure sbagliate. Anche il sostituto procuratore generale aveva chiesto il rigetto del ricorso.
Il 19 marzo scorso, nel nuovo processo d’appello, dopo l’annullamento del primo per la vicenda dell’età dei giudici popolari oltre i 65 anni, l’uomo, che in Cassazione è stato assistito dall’avvocato Tommaso Varrone, è stato condannato a 22 anni di reclusione. Una pena che adesso dovrà scontare. Anche per i giudici di secondo grado il ragionamento che ha portato alla condanna è stato lo stesso del primo processo “cancellato”: nonostante De Domenico sapesse di essere affetto da Aids, non disse mai alla donna della sua sieropositività, facendole contrarre la malattia rivelatasi successivamente fatale, anche per le cure sbagliate.
E ieri, a caldo, dopo la sentenza, gli avvocati Bonni Candido ed Elena Montalbano, che in questi anni hanno rappresentato come parte civile i familiari nei processi, ci hanno dichiarato: «Siamo solo i difensori delle persone offese e della memoria della nostra collega Stefania Gambadoro e del suo giovane figlio. Come tali possiamo solo manifestare soddisfazione professionale, il risultato di oggi lo avevamo pronosticato 7 anni fa, che mai potrà trasformarsi in sentimenti di gioia e rivalsa per la condanna di un uomo che vedrà ora aprirsi le porte della galera per molti e molti anni.
Questo epilogo è la fine di uno struggente calvario che lascia sul campo solo e soltanto vittime. Speriamo che Stefania Gambadoro possa ora riposare in pace ed i suoi cari, il figlio, la sorella e i genitori, riprendere un più sereno percorso di vita».
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