
È un’occasione per fermarsi e per tracciare un bilancio. Ventidue anni sono un film lunghissimo e la trama del tram a Messina è più volte cambiata, passando da commedia romantica a thriller, se non proprio horror, e talvolta a farsa. Quanto ha inciso, nella vita della città, quella – invocata, contestata, tribolata – linea tranviaria inaugurata ufficialmente il terzo anno del nuovo millennio? Quanto è stata utile per le sorti del servizio di trasporto pubblico? E ora che da domani cominceranno i lavori di radicale “restyling”, quale funzione potrà continuare a svolgere, una volta completata la ristrutturazione (non prima di un anno)? Di domande se ne potrebbero porre un’infinità e le risposte non saranno mai univoche. Di solito, solo quando smarriamo una cosa, ci accorgiamo della sua utilità. Accadrà così anche per il tram?
Era l’aprile 2003, la città guidata da Salvatore Leonardi, arcivescovo mons. Giovanni Marra. Fu quest’ultimo a benedire le vetture del “Cityway” e il sindaco a inaugurarle con la prima corsa, dall’Annunziata a via Bonino. Fu una serata anche emozionante, perché per Messina si trattava di un nostalgico ritorno al sistema tranviario, che era durato per decenni, tra l’Ottocento e il Novecento e che era stato smantellato il 31 dicembre del 1952. Un ritorno dopo oltre 50 anni di assenza.
Prima di quella serata inaugurale, il tram aveva rappresentato, agli occhi dei messinesi, una sequela infinita di cantieri aperti, con le principali strade del centro, da viale della Libertà a viale San Martino, da piazza della Repubblica a piazza Cairoli, sventrate per lunghi mesi. La scelta, coraggiosa, di riportare il tram a Messina fu del compianto, allora sindaco, Franco Providenti, il quale scelse di rivoluzionare il trasporto pubblico, intercettando importanti risorse comunitarie. Ma non fu lui a seguire i lavori. Nel giugno del 1998, infatti, perse la sfida elettorale con Turi Leonardi, il cui primo atto, nel luglio di quello stesso anno, fu l’indizione della gara d’appalto per la nuova tranvia. I lavori di realizzazione durarono dal 1999 all’aprile 2003.
Il tracciato non fu quello disegnato all’inizio dal pool di progettisti, tra i quali l’architetto Sebastiano Fulci e gli ingegneri messinesi Santi Caminiti e Maurizio Falzea (gli stessi che progettarono, poi, il tram di Firenze). In origine, infatti, i binari erano stati previsti lungo via Garibaldi e non sulla cortina del porto. Ma in quegli anni ci fu la rovente contesa “tram-Vara” e alla fine vinse il partito “della Madonna”, quello per il quale sarebbe stato un sacrilegio “attentare” alla processione del Ferragosto. Inutilmente i progettisti tentarono di spiegare che si sarebbe potuto adottare un sistema di copertura temporanea dei binari, consentendo così da non apportare alcuna modifica al tracciato della Vara. Non ci fu niente da fare, se non una variante al progetto del tram, “trasferito”, armi e bagagli, cioè vetture e binari, lungo la via Vittorio Emanuele. E quella fu una scelta che oggi appare insensata, perché la tranvia divenne ben presto una cesura tra la città, il suo porto, la Passeggiata e il lungomare fieristico.
La sera inaugurale cancellò, almeno temporaneamente, il ricordo degli anni di disagi per i cantieri e le polemiche sul percorso. La città complessivamente rispose con entusiasmo alla “novità”, soprattutto perché i primi mesi il servizio fu gratuito. In ogni caso, i numeri degli utenti del tram, soprattutto nei primi anni, furono assolutamente confortanti, e il giudizio sul “Cityway” fu in gran parte positivo.
Ma poi il quadro è andato peggiorando, il numero delle vetture si è andato progressivamente riducendo, la vecchia Azienda trasporti si è ritrovata con sulle spalle un fardello di debiti, tanto da arrivare al fallimento e alla nascita della nuova Atm. Negli ultimi anni, proprio mentre è stato incentivato, con innegabili ottimi risultati, il sistema di trasporto pubblico incentrato sugli autobus, il tram ha mostrato tutti i segni del tempo trascorso, invecchiando progressivamente. E così si è arrivati al punto di non ritorno, la necessità di procedere a un intervento che non si limita solo a un’operazione di “maquillage”, ma che è destinato a diventare una sorta di ripartenza quasi da zero, con profonde modifiche che interesseranno sia la linea sia le vetture.
Una nuova “rivoluzione”, dopo quelle del passato. La prima fu nel 1887 (quando il Comune di Messina stipulò il contratto con la “Società belga-Sb”) e 1889 (allorché venne inaugurata la linea ferrata tra Messina e Barcellona Pozzo di Gotto, un tracciato di ben 60 chilometri). Poi, nel 1917, quando tornò in strada il servizio tranviario, dopo il disastro del 28 dicembre 1908. Ci fu la guerra, la ripresa del tram, fino alla sua soppressione (1952). Poi, la “rivoluzione” del 1998-2003. Dalle locomotive a vapore ai moderni “Cityway” dell’Alstom, si è arrivati fino a oggi. E da domani ricomincia un’altra storia.
È stata una fortuna? È stata una iattura? Il tram è essenziale o un peso ingombrante per la città di Messina? Come sempre, anche su questo argomento, i guelfi e ghibellini, o Merli e Malvizzi di casa nostra, continueranno a dividersi e a sputare sentenze. E, come sempre, probabilmente, la verità sta in mezzo: è stato utile, ma anche ingombrante. Ora speriamo che, una volta completati i lavori, possa contribuire al potenziamento di un sistema di mobilità urbana integrata degno di una città europea.
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