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S. Teresa di Riva, ricorso non ammesso: il Comune evita un risarcimento da mezzo milione

Diciotto anni dopo si chiude definitivamente in Cassazione, con un verdetto favorevole per il Comune di S. Teresa di Riva, la causa civile intentata nel 2007 da una donna di Roccalumera che ha chiesto un risarcimento da mezzo milione di euro per due concessioni edilizie revocate relative alla costruzione di tre fabbricati in via Fiorentino.
Anche l’ultimo passaggio alla Suprema Corte, infatti, dove era in discussione il ricorso contro il Comune e l’ing. Claudio Pellegrino, all’epoca dirigente dell’Ufficio tecnico, con il quale veniva chiesta la revoca dell’ordinanza emessa in terzo grado nel gennaio 2023, si è definito con una dichiarazione di inammissibilità. Già allora la Cassazione aveva rigettato il ricorso ritenendolo infondato e confermando la motivazione della Corte d’appello sull’impossibilità di ascrivere responsabilità per danni al Comune e all’allora ingegnere capo, riconducendo piuttosto la contestata revoca delle concessioni edilizie al comportamento della ricorrente, indicata come responsabile di aver prospettato come “pubblica” una via meramente privata (benché di uso pubblico), generando l’impossibilità di un legittimo rilascio dei titoli edilizi.
Secondo il legale della donna, l’avv. Carmelo Saitta, la pronuncia della Cassazione era errata poiché emessa sulla scorta di un errore che ha riguardato la condotta della ricorrente, perché “non si è resa responsabile di alcuna condotta illecita né di alcuna dichiarazione infedele, né ancor meno essa ha posto in essere una condotta fattuale tale da portare l’Ente locale alla decisione di revocare alla stessa le concessioni edilizie rilasciatale”.
I giudici della Terza Sezione civile della Corte di Cassazione hanno invece stabilito che «l’errore revocatorio consiste nella percezione, in contrasto con gli atti e le risultanze di causa, di una falsa realtà documentale, in conseguenza della quale il giudice si sia indotto ad affermare l’esistenza di un fatto o di una dichiarazione che, invece, incontrastabilmente non risulta dai documenti di causa», mentre «la censurata ordinanza non è stata emessa sulla base di un presunto errore di fatto ma puntualizza espressamente, per ben due volte, che l’unica ragione di doglianza era stato un preteso vizio motivazionale e non la correttezza in sé, in fatto o in diritto, della motivazione della sentenza di merito».

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