La donna ha confermato tutto in aula. Durante una drammatica testimonianza, interrotta più volte per la tensione, durata oltre cinque ore. Ed effettuata ad un certo punto a porte chiuse per la delicatezza del caso. È stata una lunga udienza quella di ieri davanti al collegio della prima sezione penale presieduto dalla giudice Monica Marino. Un processo che vede imputato il 49enne sacerdote rogazionista Claudio Marino, originario di Torino, che per lungo tempo in città ha diretto l’Istituto antoniano “Cristo Re” dei padri rogazionisti. È lì, in una di quelle stanze della struttura d’accoglienza, che secondo quanto ha ricostruito la Procura nell’estate del 2022 avrebbe violentato una migrante tunisina, all’epoca 37enne. La donna ieri ha risposto ad una lunga serie di domande che le hanno rivolto la pm Roberta la Speme e gli avvocati, sul fronte della difesa e della parte civile. La Procura a suo tempo aveva chiesto l’arresto in carcere per don Marino, lui adesso si trova agli arresti domiciliari a Napoli in un convento di suore, così come ha deciso un paio di mesi addietro la gip Monia De Francesco. In questi ultimi mesi era infatti responsabile di una comunità alloggio per minori e di una casa famiglia a Napoli, dove evidentemente era stato trasferito nei mesi scorsi da Messina. Ad assisterlo sono gli avvocati Salvatore Silvestro e la collega romana Delia Urbani. La vittima degli abusi è invece assistita dall’avvocata Maria Grazia Corio di Palmi. Si tratta di un’inchiesta gestita dalla pm Stefania La Rosa e dal procuratore aggiunto Marco Colamonici, che ad ottobre scorso sfociò nella richiesta d’arresto del sacerdote. Il sacerdote, all’interrogatorio di garanzia, dal canto suo ha sempre totalmente respinto tutte le accuse, affermando chiaramente davanti alla gip De Francesco di non aver mai abusato della donna, come del resto confermarono i suoi legali al termine dell’interrogatorio: «Il nostro assistito non si è sottratto al confronto ed ha risposto a tutte le domande - affermarono -, dichiarandosi completamente innocente rispetto alle accuse che gli vengono contestate».