
Il traffico marittimo continua a essere uno dei meno “ecologici” (di gran lunga inferiore a quello ferroviario, superiore solo a quello aereo), i traguardi fissati dall’Europa entro il 2030 sono ancora lontanissimi dall’essere raggiunti, lo Stretto di Messina, come tutti gli angusti bracci di mare di passaggio, dove si concentra un’alta quantità di mezzi navali che transitano, è fortemente inquinato.
L’ambizione dell’Ue è di ottenere un “inquinamento zero” delle acque entro il 2030 ma, alla luce di tale obiettivo, la Corte dei Conti europea, valutando le azioni messe in campo dai Paesi membri, volte ad ovviare all’inquinamento delle acque marine causato dalle navi, evidenzia come gli sforzi fatti finora siano assolutamente insufficienti. L’Agenzia europea per la sicurezza marittima ha sviluppato strumenti utili, ma gli Stati membri non ne hanno sfruttato appieno il potenziale. Spesso non hanno raggiunto i rispettivi valori-obiettivo obbligatori per le ispezioni delle navi. Il monitoraggio dell’inquinamento provocato dalle navi è inadeguato. Le raccomandazioni della Corte mirano a rendere più efficaci gli strumenti di allerta anti-inquinamento, a potenziare il monitoraggio del raggiungimento dei valori-obiettivo relativi alle ispezioni delle navi, a migliorare l’impatto dei finanziamenti europei e a misurare meglio l’inquinamento marino.
La relazione della Corte è stata resa pubblica nei giorni scorsi, con il titolo “Le azioni dell’Ue volte a contrastare l’inquinamento marino causato dalle navi». Sottotitolo: “Ancora in cattive acque”. Più chiara di così, la Corte dei Conti europea non poteva essere. Sebbene la normativa dell’Ue mostri miglioramenti e sia a volte più rigorosa delle norme internazionali, «la sua applicazione da parte dei 22 Stati membri costieri dell’Europa è lungi dall’essere soddisfacente. Le azioni volte a prevenire, affrontare, monitorare e sanzionare i vari tipi di inquinamento provocato dalle navi non sono all’altezza del compito».

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