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Ponte sullo Stretto: il paradosso della bellezza deturpata a Messina, quella protesta che è una vergogna

John Ruskin, nella sua crociata contro la modernità industriale, sosteneva che la bellezza fosse indispensabile alla vita quanto l’aria. Nulla di più vero, se non fosse che spesso, nel difenderla, si finisce per soffocarla sotto una coltre di incoerenza. Così ieri, a Messina, si è consumato il paradosso di cui parliamo: un corteo di manifestanti (la gran parte violenti) che basavano la loro protesta sulla "bruttezza" e sulla violenza estetica del Ponte sullo Stretto si è trasformato in un attacco diretto a un’altra bellezza, più fragile e immediata: quella dei muri, delle chiese, delle strade di una città già martoriata da secoli di devastazioni.

Ma in che modo si difende la bellezza insozzando con vernice spray le pareti di un edificio storico? Quale sarebbe l’alto messaggio civile di chi, per dire “No al Ponte”, imbratta il Monastero di Montevergime, cioè il luogo che custodisce la memoria della Santa Eustochia che fece della contemplazione e della disciplina interiore un cammino di resistenza spirituale? C’è qualcosa di grottescamente teatrale in tutto questo. E che rischia di "imbrattare" anche la manifestazione di idee di chi del "No al Ponte" ha fatto una protesta civile e pacifica. Con democratico scambio di idee che partono da posizioni diverse se non addirittura opposte.

La dialettica tra progresso e conservazione è antica, nobile, meritevole di un dibattito serio. E c’è chi la porta avanti con rigore, argomentando, scrivendo, manifestando pacificamente. A Messina ci sono tanti esempio. Poi ci sono gli altri, come quelli in strada oggi: i "violenti" che fanno della protesta un carnevale fuori stagione, dove invece delle maschere si indossano i passamontagna, invece dei coriandoli si lanciano fumogeni. E questi non sono avversari del Ponte: sono solo avversari di loro stessi, perché con ogni muro imbrattato, con ogni atto di violenza, rendono più debole proprio quella causa che dicono di sostenere.   

La bellezza, quella vera, non ha bisogno di graffiti per esistere, né di atti dimostrativi che riducono una battaglia culturale a un episodio di vandalismo urbano. Ma soprattutto, chi si batte per essa dovrebbe ricordare che la prima forma di rispetto per un luogo è non violentarlo. Anche perché il ponte, almeno per ora, è solo un progetto su carta. Quelle scritte sui muri, invece, sono già realtà. E purtroppo, non verranno via con un colpo di spugna.

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