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Messina, la presidente della Giunta esecutiva distrettuale dell’Anm sullo sciopero di oggi: «Difendere l’assetto istituzionale»

Francesca Bonanzinga: «L’indipendenza e l’autonomia della magistratura sono beni fondamentali non solo per i magistrati ma per la comunità intera»

Francesca Bonanzinga, presidente della Giunta esecutiva distrettuale dell’Anm e sostituta procuratrice della Dda di Messina, in questo clima molto teso cosa significa lo sciopero di oggi?
«Serve a difendere un assetto istituzionale che reputiamo essenziale per garantire l’indipendenza e l’autonomia della magistratura, che sono beni fondamentali non solo per i magistrati, ma per la comunità intera. La riforma in discussione non risolve i problemi della giustizia e nemmeno si prefigge di farlo. Nonostante ciò, continua ad essere considerata la “riforma delle riforme”. Il timore è che sullo sfondo ci sia il tentativo della politica di rivendicare per sé il baricentro del potere, attraverso il ridimensionamento del potere giudiziario. Lo sciopero è una forma di protesta rientrante in una logica di contrapposizione che non appartiene al comune sentire dei magistrati; per alcuni è forse una scelta dolorosa, ma per la maggioranza di essi è anche un atto necessitato, imposto dalla propria coscienza. Mi aspetto, quindi, un’elevata partecipazione, perché so che il bisogno di tutelare l'autonomia e l’indipendenza della magistratura è un valore nel quale si riconoscono indistintamente tutti i magistrati».
Il vostro pensiero sulla separazione delle carriere è netto...
«Partiamo dall’attuale previsione costituzionale dell’art. 104 della Costituzione, “La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere”. Da ciò ne discende l’unicità delle carriere e la garanzia di autonomia e indipendenza dei magistrati tutti. La “cultura della giurisdizione” deve necessariamente appartenere, prima ancora che al giudice, al pubblico ministero poiché è il primo giudice che il cittadino incontra. Il pubblico ministero, quale magistrato è e deve essere alla ricerca della verità quanto il giudice. Del resto, la previsione di un pubblico ministero che raccolga tutte le prove – a favore e contro l’imputato – è finalizzata a mettere il giudice nelle condizioni di poter decidere secondo legge. La proposta di legge modifica l’articolo 104 della Costituzione e stabilisce che la magistratura è composta dai magistrati della carriera giudicante e della carriera requirente. L’Anm ritiene questa previsione inutile e dannosa in quanto non risponde ad alcuna esigenza di miglioramento del servizio giustizia, ma determina l’isolamento del Pubblico Ministero, mortificandone la funzione di garanzia e ponendo le premesse per il concreto rischio del suo assoggettamento al potere esecutivo. Tra le ragioni del “sì” alla riforma si legge che “il giudice non è imparziale, perché indossa la stessa casacca di una delle due squadre in campo, quella dell’accusa”, tuttavia il testo dell’art. 104 della Costituzione riformato, ad una interpretazione letterale della norma, lascerebbe immutata tale colleganza. In realtà, in ultimo con la riforma Cartabia, sono stati apportati dei limiti talmente stringenti per il passaggio di funzioni (si può fare una sola volta e cambiando regione) che di fatto la distinzione per funzioni esiste già. Negli ultimi cinque anni, la percentuale media dei passaggi è dello 0,31%».
Secondo lei la gente capisce veramente di cosa si sta parlando in questi mesi se si cita lo “scontro” tra magistratura e politica?
«L’Anm non ha mai parlato di scontro con il potere politico ne ha mai posto le basi perché questo potesse accadere. Il presidente uscente, Giuseppe Santalucia, e il neoeletto, Cesare Parodi, hanno sempre richiesto confronti con la politica. Probabilmente chi parla di scontro o utilizza toni accesi e offensivi lo fa per sminuire le ragioni poste alla base della nostra protesta riducendole in mere difese corporative. Ma ribadisco, stando al dato letterale della riforma sia i giudicanti sia i requirenti conserverebbero lo status lavorativo dei magistrati (stipendi, ferie, carico di lavoro restano invariati). Se i magistrati protestano e perché ciò che cambia è invece il sistema di tutela dei diritti dei cittadini. È tuttavia preoccupante che i magistrati debbano difendersi da insinuazioni ogni volta che viene condannato o anche solo indagato un esponente del potere esecutivo. È un chiaro segnale che il clima si è deteriorato e ciò che conta non è più il merito delle questioni ma solo se la decisione risponda o meno alle aspettative della maggioranza».
Quali effetti avrebbe per voi il progetto di separazione delle carriere, l’ex suo collega Di Pietro è favorevole...
«Secondo l’Anm la separazione delle carriere si rivelerà o del tutto inutile, se il pubblico ministero rimarrà nell’alveo della giurisdizione, o fortemente dannosa per la collettività, se, invece, il pm, separato dalla giurisdizione, sarà attratto nella sfera di un altro potere, come accade in tutti gli ordinamenti che prevedono il pubblico ministero separato, condizionato dalle direttive dell’esecutivo. Uno degli argomenti forti portati avanti dai “riformisti” è che la separazione delle carriere risponderebbe al principio del giusto processo, previsto dall’art. 111 della Costituzione, perché assicurerebbe equidistanza tra accusa e difesa nei confronti del giudice, unica figura terza e imparziale. In realtà, la parità delle parti, di cui parla il secondo comma dell’art. 111 Cost., non si gioca sul piano istituzionale: l’avvocato è un privato professionista vincolato dal solo mandato a difendere, che lo obbliga a ricercare l’esito più conveniente per il proprio assistito, che lo retribuisce per questo, ed è figura diversa dal pm, che è un’autorità giudiziaria indipendente che deve svolgere indagini anche a favore dell’imputato. In ultimo, va considerato che la riforma oltre alla separazione delle carriere prevede la costituzione di due Csm e di un’Alta Corte disciplinare. Ciò che prima veniva fatto da un unico organo ora – a parità di numero di magistrati giudicanti e requirenti – verrebbe svolto da tre con grave dispendio economico per il nostro Paese difficilmente giustificabile».
All’inaugurazione dell’anno giudiziario lei ha detto che la magistratura non è un potere dello Stato da cui difendersi, ma è quell’istituzione posta a presidio dei diritti di tutti. La percezione della gente secondo lei è questa?
«Ritengo di sì, perlomeno la maggior parte della collettività ancora crede nella Giustizia. In entrambi i settori, civile e penale, difatti, non si registrano negli anni cali di iscrizione dei procedimenti. Ciò nonostante, il sistema Giustizia non funziona come dovrebbe. Tuttavia, è anche evidente che il malfunzionamento del sistema giustizia non va individuato nel comportamento tenuto dal singolo magistrato ma nella carenza di risorse: croniche carenze di organico di magistrati e personale amministrativo, pochi strumenti e pochi mezzi. Uno fra tanti paradossi l’aver sbandierato come traguardo l’avvento a partire da gennaio 2025 del processo penale telematico salvo aver costretto più di 100 capi degli uffici a sospenderne l’applicazione perché i sistemi applicativi sono risultati del tutto inadeguati. L’esigenza avvertita da noi magistrati di farci sentire nasce proprio dalla consapevolezza che, se davvero si vuole incidere sulla giustizia, lo si deve fare con riforme che mirano a velocizzare i processi e non ad indebolire i magistrati».
Ma non ci sono troppi dibattiti in ogni parte del Paese su questi temi, voi ne fate altri due a Messina?
«A dire il vero l’idea mia e dei colleghi della giunta locale era inizialmente quella di organizzare numerosi incontri, prevedendo eventi in posti aperti al pubblico, fuori dal Palazzo di giustizia, proprio perché riteniamo indispensabile poter contribuire ad informare il cittadino. Per ragioni pratiche e di tempo abbiamo preferito fermarci, per il momento, a due iniziative. Spiegheremo in tutte le sedi possibili, anche e soprattutto in vista della possibile consultazione referendaria, le ragioni della protesta che non hanno nulla a che vedere con interessi corporativi. L’idea è comunque e sempre di un confronto tra le varie opinioni, difatti, abbiamo coinvolto nel dibattito l’Università di Messina, l’Ordine degli avvocati di Messina e le associazioni locali che si occupano del tema giustizia. Confidiamo comunque nella partecipazione di tutti per questo domani mattina (oggi per chi legge, n.d.r.), il Tribunale sarà aperto a chiunque volesse partecipare al dibattito».

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