Cosa nostra barcellonese e gli “affari” del Superbonus, la Distrettuale antimafia va al Riesame per la posizione degli imprenditori edili
I magistrati della Distrettuale antimafia di Messina non sono d’accordo con quanto ha deciso globalmente la gip Finocchiaro per l’inchiesta sulle infiltrazioni di Cosa nostra barcellonese negli “affari” del Superbouns al 110%. Per la posizione degli imprenditori edili, coinvolti secondo l’accusa con posizioni di concorso esterno all’associazione, la gip ha infatti rigettato le richieste di misure restrittive avanzate a suo tempo dalla Procura. Così i magistrati della Dda di Messina hanno depositato un ricorso su questi aspetti davanti ai giudici del Riesame, reiterando la richiesta di misure cautelari a loro carico. A breve si discuterà del tutto davanti ai giudici. Globalmente sono otto gli indagati dell’inchiesta. Si tratta di Mariano Calderone, di Milazzo; Salvatore Foti, di Milazzo, figlio di Mariano Foti; Fabio Gaipa, originario di Berna, in Svizzera, e residente a Furnari; Tindaro Mario Ilacqua, originario di S. Lucia del Mela; Giuseppe Impallomeni, di Milazzo e residente a Barcellona; Fortunato Micalizzi, originario di Messina e residente a Nizza; Tindaro Pantè e Giovanni Pantè, padre e figlio, di Barcellona. Sono due le misure cautelari restrittive decise dalla gip Finocchiaro, con la detenzione in carcere per il 26enne Salvatore Foti e il 66enne Tindaro Pantè, mentre per tutti gli altri non è stato deciso alcun provvedimento restrittivo, e allo stato sono indagati nell’ambito dell’inchiesta. Per entrambi, Salvatore Foti e Tindaro Pantè, la gip Finocchiaro ha ritenuto sussistente l’accusa di associazione di tipo mafioso, e per il solo Pantè anche il “trasferimento fraudolento dei beni, aggravato dalle finalità mafiose”. Sul fronte degli interrogatori di garanzia, dopo Pantè la gip Finocchiaro ha sentito pure Foti, che è assistito dall’avvocato Tino Celi. Anche lui, come Pantè, si è avvalso della facoltà di non rispondere.