Cosa nostra barcellonese e il business del 110%, il Superbonus, un rapporto consolidato. E dopo la prima puntata d’indagine degli anni scorsi, che aveva visto come figura centrale Mariano Foti, c’è da registrare la seconda tranche d’inchiesta della Procura di Messina diretta da Antonio D’Amato, che ha focalizzato la sua attenzione sul figlio di Foti, Salvatore, su un prestanome, Tindaro Pantè, e su una serie di imprenditori barcellonesi, che risultano indagati per concorso esterno all’associazione mafiosa. Sono stati i carabinieri del Nucleo investigativo del Comando provinciale di Messina, ieri mattina, ad eseguire l’ordinanza cautelare siglata dalla gip di Messina Simona Finocchiaro, dopo l’indagine coordinata dal procuratore aggiunto Vito Di Giorgio con i sostituti della Distrettuale antimafia Fabrizio Monaco, Francesco Massara e Antonella Fradà. Globalmente sono otto gli indagati dell’inchiesta. Si tratta di Mariano Calderone, di Milazzo; Salvatore Foti, di Milazzo, figlio di Mariano Foti; Fabio Gaipa, originario di Berna, in Svizzera, e residente a Furnari; Tindaro Mario Ilacqua, originario di S. Lucia del Mela; Giuseppe Impallomeni, di Milazzo e residente a Barcellona; Fortunato Micalizzi, originario di Messina e residente a Nizza; Tindaro Pantè e Giovanni Pantè, padre e figlio, di Barcellona. Sono due le misure cautelari restrittive decise dalla gip Finocchiaro, con la detenzione in carcere per il 26enne Salvatore Foti e il 66enne Tindaro Pantè, mentre per tutti gli altri non è stato deciso alcun provvedimento restrittivo, e allo stato sono indagati nell’ambito dell’inchiesta. Per entrambi, Salvatore Foti e Tindaro Pantè, la gip Finocchiaro ha ritenuto sussistente l’accusa di associazione di tipo mafioso, e per il solo Pantè anche il “trasferimento fraudolento dei beni, aggravato dalle finalità mafiose”. Sempre i carabinieri ieri mattina hanno notificato contestualmente un’informazione di garanzia nei confronti degli altri indagati, tra cui alcuni imprenditori edili, con l’ipotesi di reato di concorso esterno in associazione di tipo mafioso. L’indagine - spiega una nota del procuratore D’Amato -, costituisce il prosieguo di un’attività investigativa coordinata dalla Dda di Messina e delegata ai carabinieri del Comando provinciale di Messina, nei confronti della cosiddetta “famiglia dei barcellonesi” nell’ambito della quale, a febbraio del 2022, erano state eseguite misure cautelari nei confronti di 86 persone. Un’indagine che aveva documentato l’operatività del sodalizio nella commissione di estorsioni e nel traffico di droga, nella gestione di bische clandestine e della prostituzione, nonché gli interessi nel settore dei prodotti ortofrutticoli, che veniva compromesso con metodi mafiosi attraverso l’imposizione di prezzi e merce. Si tratta dell’indagine che fece emergere a Barcellona l’esistenza di un “triumvirato”, formato da Carmelo Vito Foti, Mariano Foti e Ottavio Imbesi (quest’ultimo è deceduto nel 2021). Che una volta usciti di prigione, riorganizzarono a modo loro il gruppo barcellonese, dopo che tutti i capi storici erano finiti da tempo in carcere al “41 bis”. La nuova inchiesta ha ulteriormente approfondito l’infiltrazione di appartenenti alla famiglia mafiosa barcellonese nell’ambito di un altro settore economico, ossia quello dei lavori di ristrutturazione edilizia e dell’efficientamento energetico, con il c.d. Superbonus del 110%, direttamente finanziato con risorse pubbliche. Le attività investigative hanno fatto emergere un vero e proprio accordo proposto da uno degli imprenditori edili coinvolti, Tindaro Mario Ilacqua, a un importante esponente del gruppo mafioso, Mariano Foti, che è attualmente in carcere quale capo dell’organizzazione smantellata dalla precedente indagine. L’accordo era siglato per favorire, con il sostegno del gruppo mafioso, la sua società, la PI.ESSE.I., “pulita” ed economicamente attrezzata per rilevare il “credito fiscale” connesso al Superbonus edilizio. L’imprenditore Ilacqua, in cambio della protezione, del sostegno e della “sponsorizzazione” del sodalizio mafioso nel reperimento degli immobili, collocati tra Barcellona e nei comuni vicini, sui quali eseguire lavori di efficientamento energetico, corrispondeva somme di denaro ai componenti dell’organizzazione mafiosa, che per il “servizio” reso ottenevano anche l’affidamento di subappalti in favore di ditte riconducibili al gruppo o comunque contigue.