Reali e calamità: non sempre è andata come in Spagna. Ecco cosa ha fatto la Regina Elena dopo il terremoto di Messina
Non è andata sempre così, per i regnanti in mezzo alle catastrofi naturali; non è andata sempre come per Re Felipe VI e la regina Letizia, bersaglio delle proteste mentre erano in visita nei luoghi dell’alluvione che ha distrutto Valencia. Nella storia del secolo scorso, all’inizio del Novecento, vi furono regnanti che sui cataclismi costruirono, involontariamente, un mito: è il caso di Vittorio Emanuele III e soprattutto della Regina Elena, che alle 9 del mattino del 30 dicembre 1908 giunsero via nave da Napoli a Messina devastata dal sisma. E si trovarono davanti questa scena: «Nelle acque del porto - scrisse l’allora direttore della Gazzetta di Messina, Riccardo Vadalà, svegliato dalla scossa di magnitudo 7.1 - galleggiava di tutto: cadaveri, carretti, mobili, carcasse d’animali, travi, botti, bastimenti affondati tale era l’intensità della scossa e la violenza con cui le pareti venivano smosse e il sottosuolo si agitava, che non solo le pareti si piegavano come fogli di carta, ma io stesso, che quel mattino mi trovavo in redazione, mi sentii sbalzare due o tre volte all’altezza di un metro dal pavimento. Uscito da sotto le macerie, tenendomi lungo il muro tentai di camminare per le strade. Il rumore delle case crollanti mi assordava non vi era che un lungo, lugubre, immenso strillo da tutti i punti della città: Aiuto, Aiuto!». (AGI) Fab (Segue) (AGI) - Palermo, 4 nov. - Il Re scese dalla nave, e cominciò ad aggirarsi tra le macerie: «La stampa - scrive lo storico John Dickie in «Il terremoto di Messina. Una catastrofe patriottica (Laterza) - raccontò diffusamente di momenti in cui era scoppiato in lacrime». Alla regina Elena non fu permesso di sbarcare: le scosse di assestamento e i continui crolli suggerivano che restasse a bordo della nave. Lei, a quel punto, si trasferì sulla nave da guerra che portava il suo nome per assistere i feriti. «Bella sana ed elegante avendo fatto studi da infermiera [] aveva conquistato la forza di nervi necessaria», diceva della nuora la Regina madre Margherita. I sovrani rimasero a Messina tre giorni, nel corso dei quali Elena conquistò un ruolo e un carisma che finirono per fare ombra allo stesso Re e per dare vita a un vero e proprio culto, alimentato dalle copertine illustrate della Domenica del Corriere: era «L'Angelo della Carità», la «Suora di dolce conforto», che su quella nave si dava da fare per i sopravvissuti, regalando i propri vestiti a chi non ne aveva, curando le ferite di chi era stato estratto dalle macerie: il ministro della Giustizia, Emanuele Orlando, raccontò che «la regina aveva accudito personalmente 'più di centò feriti» e che «aveva bendato oltre duecento persone». Si disse, è ancora lo storico Dickie a riportarlo, che «la regina avesse tenuto la gamba di un paziente durante un intervento chirurgico» e che il sangue aveva sporcato le sue spalle «use a coprirsi di ermellini». Messina, in segno di gratitudine, le dedicò un monumento che sorge in una delle piazze centrali della città dello Stretto.