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Dalla “Mafia dei pascoli” sui Nebrodi ai combattimenti tra animali a Messina

Si scrive “Mafia dei pascoli”, si legge “Provincia di Messina”, anzi, comprensorio nebroideo. Al fenomeno, venuto alla luce negli ultimi tempi, ostacolato dal Protocollo Antoci e oggetto di più filoni di inchiesta da parte della Direzione distrettuale antimafia, è dedicata una sottosezione del rapporto Zoomafia 2024. È inclusa nel capitolo “La cupola del bestiame” e fa riferimento a un affare immenso, che fa arrivare direttamente e indebitamente fiumi di denaro, alias contributi europei, sui conti corrente. La criminalità non se ne sta certo a guardare, anzi, arriva anche ad appropriarsi delle particelle catastali non dichiarate all’insaputa dei legittimi proprietari e, con la complicità di prestanome, a creare un sistema per la riscossione di questi grossi finanziamenti comunitari.
Un meccanismo criminale perfetto, frutto della comunione tra le origini agricole della vecchia Cosa nostra, la mafia dei pascoli e i moderni progetti dell’Unione», osserva Ciro Troiano, responsabile Osservatorio nazionale Zoomafia-Lav. Clan mafiosi storici erano riusciti a farsi assegnare dalla Regione siciliana centinaia di ettari di terreni senza nessun problema. E «per accaparrarsi i fondi la mafia truffa, usa la violenza, intimidisce. Gli agricoltori sono costretti con la forza a cedere i terreni», si legge nel report.
Ma il territorio peloritano fa parlare (male) di sé anche per la piaga dei combattimenti tra cani. Basti pensare che nel 2023 sono stati aperti cinque procedimenti penali contro persone note, con nove indagati, e un’inchiesta senza iscrizioni nell’apposito registro. «Esiti giudiziari – si legge nello studio della Lav – hanno accertato il coinvolgimento di elementi appartenenti alla camorra, alla sacra corona unita, al clan Giostra di Messina e ad alcune ‘ndrine. Diversamente da quello che accade per il mondo delle corse clandestine di cavalli, il coinvolgimento della criminalità organizzata è a titolo personale, da parte di alcuni esponenti dei clan, e non come attività di business del clan. Finora non vi sono stati esiti giudiziari che hanno dimostrato che i combattimenti tra cani rientrino nelle attività programmate e organizzate dai clan, ma appare improbabile che esponenti o appartenenti ad un sodalizio possano organizzare simili attività criminali senza perlomeno un tacito assenso da parte della “famiglia” malavitosa».

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