Messina

Venerdì 20 Settembre 2024

Addio Totò Schillaci, i suoi maestri nel Messina: con Ballarò il debutto, Scoglio fu un padre, con Zeman il boom

Quegli occhi spiritati che hanno conquistato il mondo ce li aveva anche in quella calda mattina del 1982, quando lasciò la sua Palermo con una valigia piena di sogni e speranze e, dopo un viaggio di quattro ore in treno, mise piede nella terra che gli avrebbe voluto bene come una mamma sa fare con il suo figliolo. Quello tra Schillaci e l’ambiente peloritano è un colpo di fulmine che scocca quando ancora l’Italia è in festa per un titolo Mondiale conquistato, grazie ai gol di Paolo Rossi. Ed è proprio il gol a legare per sempre due destini uniti subito da una naturale attrazione: quel Messina ha bisogno di gol nuovi, Tòtò con la sua voglia di affermarsi è più di una scommessa per chi ebbe il coraggio di investire 35 milioni delle vecchie lire puntando forte su quel ragazzo con una bella chioma in testa che nell’Amat e nelle Rappresentative regionali aveva segnato gol a grappoli a tal punto da stuzzicare l’interesse del Palermo e del Bologna. Ma il Messina con il presidente Sapone fu più lesto di tutti ad accaparrarselo, portando a casa – con un altro “picciotto” che avrebbe fatto carriera, Carmelo Mancuso – quel bomber che in principio avrebbe dovuto rinforzare la Berretti. Balle. Perché Totò con l’Under 18 non ci andò mai, partendo subito per il ritiro di Molveno e convincendo mister Ballarò a puntare con decisione su di lui già dalla seconda partita. Approfittando della squalifica del centravanti titolare Alivernini, quello a cui Totò inizialmente portava la borsa, e addirittura autorizzando la società a vendere quella vecchia volpe d’area di rigore la cui eventuale conferma avrebbe tolto spazio a quel ragazzo con lo sguardo furbo e un fiuto del gol fuori dal normale. Tòtò si giocò alla grande le sua chance, ambientandosi in fretta: si instauro subito un feeling speciale tra la città e il bomber del Cep, all’epoca ancora minorenne ma con le idee chiare su quello che avrebbe voluto fare da grande. Un mondo nuovo alle porte per il giovane Schillaci che aveva conosciuto la povertà in adolescenza e che nel calcio riponeva una sorta di riscatto familiare dopo gli anni difficili e quei sacrifici in gioventù tra i lavori più disparati per portare qualche soldo a casa. Una storia nata al Cep di Palermo e diventata favola in riva allo Stretto prima del salto alla Juventus, della magica estate del ’90 e degli yen del Sol Levante. La storia tra Totò e il Messina si racchiude in sette stagioni con la maglia giallorossa, 261 gettoni che ne fanno il più presente della storia biancoscudata, 77 gol tra campionato (61) e Coppa Italia (16) che lo pongono al secondo posto nella classifica dei bomber biancoscudati “all time” dietro il mitico Renato Ferretti, due promozioni (dalla C2 alla B) e un titolo di capocannoniere nell’anno di Zeman. Già, il boemo. Con Ballarò e Scoglio è l’uomo della svolta per la carriera di Totò. Il primo gli regala una maglia da titolare al suo primo anno con i grandi e gli dà quei consigli da saggio mister che Totò trasforma in oro. Il gol alla Reggina in Coppa – il suo primo in biancoscudato, è il 1° settembre 1982 –, quello al Banco di Roma al “Celeste” e la strada è spianata. Ma è Franco Scoglio che trasforma quel talentuoso attaccante in un campione. Padre e figlio con anche quelle sgridate in allenamento che aiutano sempre a crescere. Totò lo ha sempre ricordato con l’affetto di chi gli deve tutto: «Un secondo padre per me. Scoglio è stato la mia fortuna: ha subito capito che con lui potevo compiere il salto di qualità. Mi diceva: “Totò, tu non partecipare a questo schema. A te basta finalizzare. Sai fare gol”. Aveva fiducia cieca in me. Se sono maturato, lo devo a lui. E poi non mi faceva pesare gli errori». I gol-vittoria con Catanzaro e il suo Palermo tra le gemme più belle. In B i 13 gol dell’87/88 furono il primo grande ruggito verso il calcio d’élite, frutto di una maturazione che il tecnico eoliano aveva completato prima di volare al Genoa, laddove avrebbe vinto, sì, il campionato, ma dopo aver perso a Messina per mano del suo Totò, autore di un gol da leggenda su assist di Cambiaghi. E poi Zeman ha messo il suo marchio di fabbrica sulla sua esplosione: calcio offensivo e un bottino di gol (23) che poteva anche essere maggiore se il rapporto tra i due non fosse sfociato in reciproci malumori. La Juve poi gli ha dato la gloria, due Coppe e la possibilità di indossare quell’azzurro con il quale ha reso fiera tutta l’Italia a quei Mondiali che Totò, meraviglioso capocannoniere e simbolo del sogno d’estate, avrebbe meritato di chiudere con il titolo Mondiale e il Pallone d’Oro. Quindi gli yen del Giappone e l’altra “carriera”: i campi dello Zen realizzati per scovare i nuovi Schillaci e la tv a regalare sorrisi a chi non lo dimenticherà mai. Il calcio piange un grande campione, Messina un figlio suo. Perché ieri se n’è andato un pezzo di noi.

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