Messina

Domenica 24 Novembre 2024

Messina: i pozzi, la potabilità, i tempi dell’Asp. Cosa c’è da sapere

C’è una domanda che in tanti continuano a porsi da due giorni, da quando, cioè, il sindaco Federico Basile ha firmato l’ordinanza con cui ha accelerato sull’attivazione dei quattro pozzi di Briga e Mili (che, per inciso, è avvenuta ieri mattina): se l’acqua è potabile, come evidenzia più volte Basile sia nell’ordinanza che nei vari comunicati stampa diramati, perché ne raccomanda «strettamente» l’uso per fini igienico-sanitari? Perché ci sono una potabilità sostanziale – della quale il Comuen si sente sicuro, forte delle analisi effettuate da due laboratori accreditati, Chemitecno Sud di Messina e di Giammoro – e una potabilità formale, ufficiale, che invece deve essere certificata dall’Asp. Quest’ultima ancora non c’è, l’Asp non si è pronunciata, pur essendo a conoscenza delle analisi dei laboratori, motivo per cui l’acqua non può formalmente essere dichiarata potabile. Ma quali sono i passaggi formali che, di norma, si dovrebbe seguire per attivare nuovi pozzi? Li ha ricordati ad inizio agosto il Genio Civile di Messina, quando ha scritto a tutti i comuni della provincia evidenziando «la necessità di realizzare nuovi pozzi al fine di mitigare gli effetti della crisi idrica». Sono passaggi previsti da un decreto regio del 1933: il Comune ha l’obbligo di presentare un’istanza alla Regione tramite lo stesso Genio Civile, per ottenere, dopo la relativa istruttoria, la concessione d’uso dei pozzi. In casi di urgenza, può essere chiesta anche la licenza di attingimento «quale titolo provvisorio». In ogni caso, è stato sottolineato in quella nota, «propedeutica al rilascio dell’eventuale autorizzazione provvisoria all’uso (...) è il possesso della certificazione relativa alla potabilità delle acque, rilasciata dalla competente Autorità sanitaria». Cioè l’Asp. Asp che, a sua volta, secondo il decreto legislativo numero 18 del 23 febbraio 2023, è tenuta a rispettare una serie di procedure, soprattutto «nel caso di acque da destinare al consumo umano provenienti da nuovi approvvigionamenti, o per le quali non siano disponibili pregressi giudizi di idoneità». In questi casi «la destinazione al consumo umano è subordinata di norma alle risultanze dell'esame ispettivo e dei controlli analitici (...) eseguiti su base stagionale, con una frequenza minima di quattro campionamenti uniformemente distribuiti nel tempo». Passaggi lunghi, insomma, che poco si conciliano, però, con periodi di emergenza. E infatti la stessa legge prevede procedure eccezionali: «In circostanze di accertata emergenza idro-potabile, e limitatamente al periodo dell’emergenza (...), il giudizio di idoneità per acque da destinare per la prima volta al consumo umano può essere espresso anche in deroga ai controlli stagionali sulla base di valutazioni dell’Azienda sanitaria locale territorialmente competente, tenendo in particolare conto delle risultanze dell’analisi di rischio rese disponibili dal gestore idro-potabile, di ogni esame ispettivo e indagine ritenuta appropriata agli scopi, e ponendo in essere, ove necessario, adeguate misure di controllo volte ad assicurare e fornire evidenza dell’assenza di rischi per la salute umana». Spetta sempre e solo all’Asp, dunque, l’ultima parola. Qualsiasi altro laboratorio, per quanto accreditato e qualificato, non basta. Per questo l’acqua di Messina è potabile... ma non lo è. Almeno dal punto di vista giuridico. Ma c’è un fattore in più: l’emergenza siccità. Emergenza per la quale esiste un’ordinanza del Capo dipartimento della Protezione civile nazionale, la numero 1084 del 19 maggio scorso, dal titolo emblematico: “Primi interventi urgenti di protezione civile finalizzati a contrastare la situazione di deficit idrico in atto nel territorio della Regione Siciliana”. L’articolo 5 elenca una serie di atti, tra cui il famoso decreto regio del ‘33, a cui il commissario per l’emergenza può derogare. La stessa Amam, addirittura a giugno, aveva chiesto di poter agire in deroga proprio per l’attivazione dei pozzi di Briga. Ma finora – ed è questa la critica che arriva da Palazzo Zanca, anche attraverso quell’ordinanza che sembra essere un messaggio politico – di deroghe se ne sono viste ben poche.

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