«Amarezza, incredulità e rabbia... non volevo crederci. Giudicate voi, come un figlio alla quale è stato ucciso il padre senza un motivo possa sentirsi davanti a tale notizia ». Lo sfogo pubblico di un dolore privato, tenuto in fondo al cuore per anni, arriva alla notizia della scarcerazione, dopo oltre 30 anni trascorsi in carcere, di uno dei responsabili dell’uccisione del padre, vittima innocente di mafia. Nino Alibrandi non parla volentieri di una storia che ha sconvolto la sua vita e quella della sua famiglia, quando aveva appena 14 anni. Nella sua mente non si cancellerà mai quel 28 febbraio 1990 quando un commando uccise il padre Angelo a soli 44 anni mentre era in un capannone di Bordonaro dove lavorava come camionista. Lui però non c’entrava niente con la mafia, il vero obiettivo, come ricostruirono le indagini, era il suo datore di lavoro Francesco Panarello, anche lui rimasto ucciso quel giorno. Per anni questa storia è rimasta chiusa nel cassetto dei ricordi dolorosi di una famiglia che da sola e nel silenzio è andata avanti. Nino Alibrandi da anni è segretario generale della Cisl di Messina, un impegno che porta avanti con dedizione a favore dei lavoratori. Lui e i suoi fratelli sono cresciuti grazie ai sacrifici della loro madre, hanno trovato lavoro e si sono affermati nella vita, senza l’aiuto di quello Stato che nelle sentenze emesse in nome del popolo italiano aveva dimostrato che Angelo Alibrandi era stato ucciso perché era uno scomodo testimone e che non aveva nulla a che fare con i giri mafiosi. Insomma era una vittima innocente di mafia, un riconoscimento ufficiale arrivato solo a distanza di 20 anni. «La prima volta che ho riflettuto sull’elenco delle vittime innocenti di mafia mi trovavo a Milazzo» ricorda Nino Alibrandi.
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