Nel frullatore di polemiche sulla crisi idrica che quest’estate è stato perennemente in azione si incrociano tre tipi di questioni: questioni di logica/matematica, questioni di principio e questioni che non riusciamo a definire in altro modo se non di lana caprina. Le quali talvolta coincidono con questioni ritenute politiche. Che questo frullatore, poi, abbia portato ad un’esasperazione dei toni non deve né può stupire: sia perché l’oggetto della questione, l’acqua, è il bene primario per eccellenza nella classifica dei beni primari, e ogni litro in meno, soprattutto d’estate, equivale a un grado in più della scala mercalli della sofferenza/insofferenza; sia perché il concetto stesso di esasperazione dei toni è stato (ed è tuttora) alla base della strategia politico-comunicativa di chi, oggi, ne subisce l’effetto boomerang, proprio da chi è stato precedentemente istruito ad adottarla, col risultato che adesso a vestire i panni di novello Giulio Cesare (“tu quoque Dafne”) è quel Cateno De Luca che del ferale pugnale era abituale detentore. Tornando alle tre questioni, partiamo da quella logica/matematica. Il giochino dell’acqua a Taormina è stato più volte spiegato: Taormina, che in estate soffre assai da anni, a prescindere dalla siccità, si prende l’acqua di Amam (circa 12 litri al secondo, nelle ultime settimane pare anche meno) tramite un bypass più vicino al proprio centro urbano, in un punto in cui Siciliacque non potrebbe dargliela, e la restituisce, proprio attraverso Siciliacque, a casa nostra, in un bugigattolo sperduto chiamato serbatoio Gescal. E fin qui tutto a posto: Amam, quindi Messina, non regala niente a Taormina, anche perché questo giochino – chiamato vettoriamento – viene pure pagato, con fatture trimestrali, dal Comune di Taormina. La questione logica/matematica, senza troppo girarci attorno, è un’altra, ed è piuttosto banale: se non ci fosse questa operazione, quei 12 litri al secondo (che Amam non darebbe a Taormina e che quindi non sarebbe necessario che le venissero restituiti) confluirebbero regolarmente verso Messina, sommandosi ai circa mille litri al secondo che, una volta immessi nella rete idrica cittadina, per metà finiscono nelle nostre case e per metà chissà dove, tra perdite per strada e odiosi allacci abusivi. Qualcuno sostiene che a questi 12 litri si potrebbero sommare anche quelli che Siciliacque, non dovendoli più restituire in quella partita di giro, potrebbe consegnare (a pagamento) a Messina come dote aggiuntiva, ma su questo punto – che non ha trovato conferme in Siciliacque, sollecitata da Palazzo Zanca a smentire chi affermava questa tesi – l’unica certezza è che a fine giugno, quando Amam ha chiesto a Siciliacque una fornitura maggiore per la città, Siciliacque ha risposto picche. E quindi fermiamoci a quei 12 litri al secondo. Qui si innesca la seconda questione, quella di principio, che sembra prevalere in chi si straccia le vesti: perché, per aiutare Taormina, dobbiamo rinunciare a quei 12 litri al secondo? Taormina, la sorella minore ma nobile, quella carina che tutti guardano, si permette persino il lusso del lavaggio delle strade, mentre la sorella maggiore, l’affaticata Messina, arranca con l’acqua a giorni alterni, manco fossero le targhe pari e dispari degli anni Novanta. Inevitabile l’incrocio tra questione di principio (che può anche starci) e questione di lana caprina, perché poi il nodo di fondo è uno e uno solo: con quei 12 litri al secondo in più, che al netto delle perdite di cui sopra diverrebbero 5-6, Messina avrebbe avuto davvero meno problemi di quelli riscontrati quest’estate? No. Ed è, anche qui, una questione di logica/matematica: se una città con 1.000 litri al secondo d’acqua patisce dei disagi, seppur a macchia di leopardo (ma meglio evitare voli pindarici sulle percentuali di popolazione coinvolta), li patirebbe anche con 1.012. Certo, chi sposa le questioni di principio potrebbe osservare – non senza fondamento – che se sono irrilevanti quei 12 litri al secondo, lo sarebbero anche i 13-14 che arriveranno dai famosi pozzi di Briga, inseguiti da mesi manco fossero pepite d’oro. Lo dice anche qui la logica/matematica, ma il rischio di scivolare nella lana caprina sarebbe concreto. Il punto è che quei 12 litri al secondo non avrebbero cambiato il destino dell’estate messinese. Affermare il contrario, e cioè che Messina soffra a causa dell’acqua a Taormina, è una grande bugia; lo sa chi la proferisce, lo sa meno, forse, chi la rilancia in questo ormai eterno telefono senza fili che è divenuto il dibattito pubblico nell’era dei social. Nel semi-censurato film “Loro”, durante un meraviglioso dialogo tra Toni Servillo/Berlusconi e il nipote, il finto Silvio dice al piccolo erede: «Oggi hai imparato che una verità è il frutto del tono e della convinzione con cui la affermiamo». Non importa ciò che è vero, importa ciò che agli altri sembra tale. Lo sapeva Berlusconi, lo sa Cateno De Luca, lo sa chi ha attaccato lui e il suo delfino Basile in queste settimane. Sembra maledettamente vero che Messina, la bistrattata e trasandata sorella maggiore Messina, soffra a causa di Taormina, la corteggiata e nobile sorella minore Taormina. Non è così, ma è sufficiente che lo sembri. E pazienza se buona parte della politica preferisce da mesi discutere su questo – la lana caprina – piuttosto che approfondire temi forse più centrali: dal ritardo (fine agosto) con cui la macchina dell’emergenza è riuscita a soddisfare una percentuale accettabile di richieste d’aiuto alla insopportabile lentezza con cui si è in grado, in tempi di emergenza conclamata da un’ordinanza regionale, di attivare pozzi e nuove sorgenti d’acqua (al punto da arrivare, ieri, alla forzatura di un’ordinanza sindacale). Conta la narrazione, conta il percepito e conta quanto questo percepito possa fruttare, un domani, nel segreto dell’urna. La soluzione? Forse chiuderlo davvero, quel bypass delle polemiche. Nell’attesa che si apra quello successivo.