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L’ergastolano Cucinotta torna libero. Fu uno dei killer del duplice omicidio Panarello Alibrandi

Accordata la libertà condizionale dal tribunale di sorveglianza di Cagliari. Il bersaglio era il primo mentre il secondo fu una vittima innocente

Una vecchia storia di mafia del 1990 che torna a galla. Una duplice esecuzione che lasciò a terra due uomini. Una puntata di sangue dei vecchi rancori tra i gruppi mafiosi che in quel periodo si spartivano Messina.
Il dato nudo e crudo è che l’ormai sessantenne messinese Giuseppe Cucinotta, condannato all’ergastolo per il duplice omicidio Panarello-Alibriandi del 28 febbraio 1990 come uno dei componenti del commando, ha ottenuto la liberazione condizionale (con libertà vigilata per cinque anni) dal tribunale di sorveglianza di Cagliari, città dove era detenuto da tempo. I giudici hanno accolto l’istanza che i suoi legali, gli avvocati Salvatore e Carolina Stroscio, avevano presentato nel settembre del 2021.

Cucinotta fu condannato in primo grado nel 1998, poi ci fu la conferma in assise d’appello nel 1999, e la pena divenne definitiva nel 2000. È stato in carcere ininterrottamente dal 1993, prima in via “preventiva”, poi dopo la definitività della condanna.

Angelo Alibrandi, una delle due vittime, aveva 44 anni e finalmente, dopo diversi mesi passati a cercare un lavoro, s’era sistemato come camionista e programmava il suo futuro. Non c’entrava niente con i giri della mala messinese. Ma la mattina del 28 febbraio del 1990 un gruppo di killer, fu subito chiaro dopo le prime indagini, doveva uccidere il suo datore di lavoro Francesco Panarello, che rimase anche lui sull’asfalto privo di vita. Il teatro della sparatoria fu il capannone della ditta di Panarello, a Bordonaro Superiore. Alibrandi pagò la “colpa” di essere soltanto uno scomodo testimone della feroce esecuzione. Era dentro uno dei capannoni della ditta, appena sentì gli spari istintivamente uscì nel piazzale e vide tutto. I sicari spararono una prima volta e centrarono Panarello alla nuca. Poi, forse preoccupati di essere riconosciuti da Alibrandi, decisero di eliminarlo. Il povero camionista tentò di fuggire, ma fece solo pochi passi: venne infatti raggiunto da tre scariche di piombo alla testa e al torace e cadde a terra in un lago di sangue, vicino alle ruote posteriori di un camion. Agli investigatori fu subito chiaro che il perno delle indagini era il rapporto di parentela di Francesco Panarello, ritenuto il vero obiettivo dei killer, con Giacomo (erano fratelli), il quarantaseienne ucciso in piazza Fazio, a Camaro Superiore, la sera del primo dicembre precedente. La seconda pista seguita fu la cattura di uno dei presunti assassini di Giacomo Panarello, Pietro Trischitta, che era stato sorpreso qualche giorno prima a Terme Vigliatore dai carabinieri.

Cucinotta a quel tempo aveva già fatto parte del gruppo capeggiato da Pippo Leo, per poi guidare un gruppo suo a Gravitelli che faceva riferimento al clan di Giorgio Mancuso e Sarino Rizzo. I pentiti diranno poi nei vari processi che Cucinotta era l’autista e guardaspalle proprio di Mancuso.
Secondo i giudici della Sorveglianza di Cagliari però questo quadro criminale con il tempo è profondamente cambiato: «Tutti gli elementi acquisiti - scrivono nel provvedimento -, conducono a ritenere che da parte del Cucinotta vi sia stato il “sicuro ravvedimento” richiesto ai fini della concessione del beneficio.

È emerso, infatti, come l’istante, preso atto della sua condanna, la abbia accettata, da un lato recidendo i legami con la criminalità e i contesti malavitosi, dall'altra impegnandosi fattivamente in un percorso di rieducazione già in ambito inframurario. Le relazioni di sintesi e la documentazione prodotta hanno dato ampiamente atto della sua convinta adesione al patto trattamentale tanto che l’istante non solo non è andato incontro a rilievi disciplinari e ha regolarmente fruito della liberazione anticipata, ma ha sempre intessuto relazioni personali positive e rispettose sia con i compagni, sia con la Polizia e gli operatori penitenziari, ha saputo fruire di ogni opportunità trattamentale che nel tempo gli è stata offerta, prendendo parte a corsi di formazione lavorativa e di professionalizzazione che gli hanno consentito di svolgere attività lavorativa dentro il carcere con serietà impegno e dedizione, tanto da essere investito di compiti fiduciari, nel cui svolgimento si è dimostrato sempre affidabile. Ha poi partecipato ad attività culturali e si è impegnato in una riflessione sulle tematiche religiose che lo hanno avvicinato alla fede».

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