Se la programmazione del primo grande acquedotto per Messina è fatta risalire alla prima metà degli anni Cinquanta, quando si cominciò a lavorare per la captazione delle sorgenti dell’Alcantara, data l’insufficienza del vecchio acquedotto della Santissima, gli interventi più risolutivi sono della seconda metà degli anni ’70 e nel decennio successivo. Prima il sostegno delle sorgenti del Bufardo, il raccordo dell’Alcantara realizzato a tempo di record con l’azione politico-giornalistica dell’allora senatore Nino Calarco, e quindi la felice integrazione dell’acquedotto del Fiumefreddo, i cui lavori furono consegnati l’11 ottobre 1982 dall’allora sindaco Antonio Andò, all’impresa Lodigiani, vincitrice dell’appalto concorso di 63 miliardi di lire, disposto dalla Cassa per il Mezzogiorno. Ma le vicende dell’approvvigionamento idrico partono da più lontano e dopo l’Unità d’Italia, nella prima seduta consiliare, il 13 giugno 1873, presieduta dal neo sindaco di Messina, Felice Silipigni, uno dei problemi trattati fu quello dell’acquisto da parte del Comune delle acque del Pozzo Patti come aggiudicatario della relativa vendita giudiziaria. In materia di acque, nella seduta del 22 luglio 1873, il sindaco, rispondendo a numerosi consiglieri, fece una dettagliata relazione sullo stato dell’acquedotto comunale, sugli studi compiuti già da tempo, e che sarebbe stato necessario portare a compimento, per convogliare le acque da fiumi lontani, le cui opere di adduzione avrebbero dovuto superare molte asperità topografiche e attraversare numerosi torrenti, con una spesa assolutamente insostenibile per le limitate possibilità del bilancio comunale. Peraltro, non si poteva ignorare l’eccessiva dispersione delle acque di varie sorgenti locali, «la scarsezza degli allacciamenti, la deficiente manutenzione dei condotti, la facilità delle usurpazioni derivante dalla fragilità dei condotti scorrenti a lunghi tratti quasi sulla superficie del suolo; il depreziamento delle acque che prima di immettersi nei doccionati scorrono sul nudo alveo dei torrenti. Son questi appunto – diceva allora il Sindaco – i principali inconvenienti ai quali importa di porre energico rimedio». Aggiunse ancora che, avuta notizia di trattative in corso fra l’Amministrazione ferroviaria ed un privato per l’acquisto di una sorgente nel villaggio di S. Filippo, la Giunta aveva già incaricato un ingegnere per verificare l’opportunità di intervento da parte del Comune. Furono poi avviate trattative col Demanio dello Stato per l’acquisto delle sorgenti Demetrio e Ciaramita, mentre si cercava di provvedere alla costruzione della condotta delle acque di Trapani, soggette ad usurpazioni da parte di agricoltori locali. In materia di acque pubbliche, vanno ricordati anche gli acquisti di una seconda sorgente sulla sponda del torrente S. Filippo e delle acque sorgive di contrada Vallone del villaggio Bordonaro, passate al Demanio dello Stato per effetto della soppressione dei Monasteri di Montalto e dello Spirito Santo. Per quest’ultimo, pur riconoscendo la rilevanza della spesa, l’Amministrazione sollecitò l’approvazione del Consiglio, ma gli oppositori contestarono, giacché, a loro giudizio, il Comune disponeva già di acque in misura più che sufficiente: sarebbe bastato provvedere a eliminare le usurpazioni, gli abusi e le dispersioni. Per accertare, poi, il corretto uso delle acque, l’Amministrazione Silipigni fece eseguire un accurato censimento degli spandenti delle fonti del Noviziato e dei villaggi S. Stefano, S. Margherita e Cumia, disponendo che le nuove concessioni avessero luogo esclusivamente per mezzo di gare ad asta pubblica. Per l’ampliamento della rete dell’acquedotto, furono acquistate varie sorgenti a Mili Superiore, a S. Filippo Superiore, a Larderia, a S. Michele e alla Annunziata e stipulate varie convenzioni con privati. L’ultima Amministrazione Cianciafara si era prefissato il programma di assicurare la continuità dell’erogazione dell’acqua potabile, con una disponibilità calcolata secondo un consumo medio pro-capite, e nel contempo di garantire la realizzazione delle opere di adduzione e distribuzione in tutta la città e la loro manutenzione. Era stata costituita una Commissione di tecnici, che aveva fra l’altro anche il compito di esaminare i progetti e le offerte delle ditte disposte ad assumerne i servizi. Nella seduta consiliare del 29 gennaio 1883 si cominciò a discutere del problema, prendendo in esame lo schema di convenzione che si sarebbe dovuto stipulare con un imprenditore che agiva in nome della società svizzera “Galopin-Süe Jacob”. Tale convenzione prevedeva l’esecuzione delle opere e l’adduzione a Messina di acque potabili da Fiumedinisi, con una durata contrattuale di 90 anni: rimaneva, però, ancora da stabilire se, alla fine del contratto, le opere rimanevano di proprietà della società ovvero del Comune, previo pagamento di una elevata indennità. Era poi pervenuta un’altra offerta di acque da parte di un altro proprietario di Fiumedinisi assieme ad altre di proprietari di zone diverse, ed erano stati anche presentati vari ricorsi avverso la derivazione delle acque, da parte di vari sindaci dei Comuni interessati, nonché dal Consorzio di Nizza Sicilia e di Alì. Dinanzi a questa situazione il consiglio comunale ritenne di dover soprassedere. Del problema si tornò a discutere il 20 aprile 1883, giacché erano pervenute altre due offerte: l’una della Società Macfarlane di Glasgow e l’altra del gruppo Antoci, che differiva solo nella durata del contratto proposta in 80 anni, anziché 90. Il Consiglio fu chiamato a discutere soluzioni alternative: l’utilizzazione esclusiva di acque comunali, mediante pozzi e dserbatoi di raccolta; utilizzo di acque della vallata del Mojo; derivazione dell’Alcantara e l’adduzione delle acque della Santissima. Giunsero altre due offerte: una di una società francese e l’altra della società veneta che aveva compiuto gli studi per la realizzazione del tunnel nello Stretto di Messina. Anche queste offerte, però, non ebbero miglior fortuna. Il 18 giugno 1883 il Consiglio, ultimo atto dell’amministrazione Lembo, approvò il testo della convenzione con gli Antoci. Con l’amministrazione del sindaco Ernesto Cianciolo, dopo che il 15 novembre 1887, con decreto prefettizio, Messina fu dichiarata città immune da colera, si tornò a parlare più ampiamente di acquedotto: si era provveduto a eseguire importanti lavori di canalizzazione delle acque potabili con tubazioni in ghisa, e in varie zone cittadine era stata ripristinata la distribuzione ordinaria. Peraltro, era già apparsa evidente l’inattuabilità del progetto di un grande acquedotto, già affidato all’Impresa Antoci. Lo sforzo maggiore dell’Amministrazione Cianciolo fu rivolto alla normalizzazione dei servizi dell’acquedotto, anche perché la distribuzione a mezzo di carri-botte comportava un notevole onere per le casse comunali, ma gran parte della stampa non cessò di muovere continue critiche. Quando poi cominciarono a scorgersi i primi risultati soddisfacenti, si verificò un nuovo e più grave fenomeno e cioè gli attentati e i danneggiamenti a carico degli impianti dell’acquedotto. Il 28 giugno 1888, essendo diminuita inaspettatamente l’acqua in città, una moltitudine di persone si recò all’abitazione del sindaco, che ricevette una delegazione e assicurò che in giornata avrebbe provveduto a fornire l’acqua necessaria. La questione sembrava chiusa, ma la manifestazione si scatenò nuovamente, la folla si recò al Pozzo Leone, che era stato già chiuso per disposizioni sanitarie, abbatté le chiusure, infranse la fontana e per oltre due ore si accalcò per attingerne l’acqua. Solo l’intervento delle forze dell’ordine riuscì a riportare la calma. “L’Aquila Latina”, notiziario del tempo, riferì di diversi incidenti. Il sindaco Cianciolo intanto interveniva con la ditta Antoci che, con contratto stipulato da ormai cinque anni, si era impegnata a portare l’acqua da Fiumedinisi a Messina, agendo per conto di una società londinese, disposta ad assumere l’onere delle spese occorrenti, ma la società non si costituì mai. Successivamente la ditta Antoci aveva ceduto il contratto alla ditta Manganaro, anch’essa in rappresentanza di altra società londinese. In effetti venne a Messina un ingegnere di Londra con cui furono concordati gli adempimenti e le condizioni necessarie perché l’Amministrazione potesse chiedere l’espropriazione di tutte le aree occorrenti per gli impianti di adduzione dell’acqua da Fiumedinisi a Messina, ma, dopo gli accordi convenuti, l’ingegnere londinese inviò una lettera all’Amministrazione con la quale si riservava di apportare delle modifiche al testo. A questo punto il sindaco Cianciolo, il 20 aprile 1888, propose al Consiglio la rescissione del contratto di concessione. 1. continua