È battaglia giudiziaria nel procedimento penale scaturito dal decesso di Catena Pagano, per tutti “Deborah”, la trentunenne di Letojanni il cui cuore cessò di battere l’8 luglio 2022, a Giarre, dove viveva con il compagno, il quarantenne del posto Leonardo Fresta. Sul capo di quest’ultimo pende l’accusa di omicidio volontario.
Secondo la Procura, avrebbe causato la morte «colpendola su varie parti del corpo e procurandole ecchimosi e contusioni sparse, nonché la frattura dello sterno, annegandola all’interno della vasca da bagno fino a determinarne l’asfissia meccanica, primitiva e violenta», per futili motivi riconducibili «a divergenze relazionali e a non meglio specificate ragioni di gelosia». L’ultima tappa: il legale di Fresta, l’avvocato Cristofero Alessi, ha chiesto la nomina di un collegio peritale medico – alla luce delle incongruenze emerse dalle risultanze dei vari periti –, in particolare di un medico legale con specializzazione in Patologia forense, un anatomo patologo specializzato in Istopatologia forense e un tossicologo. La Corte d’assise del Tribunale di Catania ha ammesso l’istanza, rinviando all’udienza del 10 settembre prossimo dedicata proprio al conferimento dell’incarico peritale a quattro esperti.
Ma quali sono le contraddizioni riscontrate? Alfredo Fabrizio Lo Faro, professore aggregato di Medicina legale e tossicologia forense all’Università Politecnica delle Marche, e Cataldo Raffino, specialista in Medicina legale – entrambi nominati dall’avvocato Alessi – partono dalle conclusioni del sostituto procuratore titolare dell’inchiesta Fabio Salvatore Platania, in seguito al lavoro dei consulenti dallo stesso individuati (Nunziata Barbera e Giuseppe Ragazzi). Ossia che «la causa e i mezzi del decesso di Catena Pagano devono essere ricondotti all’arresto irreversibile delle funzioni vitali, consecutivo ad asfissia meccanica, primitiva e violenta da annegamento, a configurazione omicidiaria». Una tesi respinta dai due periti, a giudizio dei quali le indagini di laboratorio di sola pertinenza anatomopatologica sono state «acquisite in totale autonomia e senza avere ancora alcun dato di ordine scientifico di natura tossicologica».
Nello specifico, Lo Faro e Raffino hanno seguito la strada dei versanti tossicologico e medico legale, sottolineando come gli esiti siano in linea con il racconto dell’imputato, ossia che «quel giorno, a seguito dell’assunzione di cocaina», la donna «si è sentita male, ha avuto uno strano tremore e si è accasciata sul divano». Per poi aggiungere di avere tentato di rianimarla con una respirazione bocca a bocca. A parere degli stessi Lo Faro e Raffino, «le analisi hanno fatto rilevare la presenza di cocaina e benzoilecgonina» e il decesso sarebbe ascrivibile «a intossicazione acuta» da esse derivanti.
Eppure, nelle successive controdeduzioni, i consulenti della Procura hanno ribadito la loro posizione: intanto, hanno precisato che le analisi tossicologiche sono state effettuate a regola d’arte, secondo quanto prescritto dalle linee guida; in riferimento «alla concentrazione letale della cocaina», hanno aggiunto come «non si possa in alcun modo accertare o escludere una condizione di intossicazione acuta, e ciò a causa della mancata disponibilità di campioni di sangue da analizzare in ragione delle ben note condizioni di grave degradazione post mortale della signora Pagano». E hanno precisato che gli stessi consulenti della difesa «non sono stati in grado di dimostrare scientificamente la loro stessa ipotesi di morte». Da qui la definizione di «mera congettura, non supportata da dati scientifici».
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