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Omicidi a Barcellona: 8 abbreviati. L'indagine sulla “pulizia etnica” messa in atto da Cosa nostra

Probabilmente non è mai successo in Italia, o quantomeno è accaduto rare volte, che dopo un’eccezione di un avvocato il giudice ne revoca un altro per “incompatibilità” con il suo cliente e con gli altri imputati. Eppure ieri mattina all’udienza preliminare per gli omicidi a Barcellona degli anni ’90, alla sbarra ci sono 9 imputati tra capi e gregari di Cosa nostra del Longano, la gup Arianna Raffa oltre alle questioni solite ha dovuto affrontare anche il “caso Marchetta”.

Ma cominciamo dal normale corso dell’udienza. Per l’impressionante catena di sangue di Cosa nostra barcellonese negli anni ’90, dopo l’inchiesta portata a termine ai primi di febbraio dalla Distrettuale antimafia di Messina e dai carabinieri del Ros, nome in codice “Inganno”, sono in 9 gli imputati. Si tratta di tredici omicidi che hanno una nuova lettura rispetto al passato grazie alla dichiarazioni del pentito barcellonese Salvatore Micale, il quale ha raccontato per mesi la sua verità ai magistrati della Distrettuale antimafia di Messina.

I nomi sono di primissimo piano nelle gerarchie mafiose che hanno governato Cosa nostra barcellonese, basti pensare che ci sono quelli di Giuseppe Gullotti “l’avvocaticchiu”, già condannato in via definitiva come mandante dell’omicidio del giornalista Beppe Alfano, per molto tempo ritenuto al vertice del gruppo, e Salvatore “Sem” Di Salvo, designato poi come suo successore. Accanto a loro i nomi di Nicola Cannone e Stefano “Stefanino” Genovese. Si tratta poi del “cassiere” del gruppo mafioso barcellonese degli anni 80 e 90 Giuseppe Isgrò, che era tornato di recente in libertà dopo aver finito di scontare la sua condanna per l’operazione “Gotha 3”, di Carmelo Mastroeni, originario di Merì, sfiorato a suo tempo dall’inchiesta “Omega-Obelisco” e ritenuto dalla Dda da sempre vicino a Salvatore “Sem” Di Salvo, e infine di Vincenzo Miano e dello stesso pentito Salvatore Micale.

Il dato nudo e crudo è che ieri mattina tutti gli imputati, ad eccezione di Cannone, hanno scelto il rito abbreviato con lo “sconto” di un terzo della pena, e per la definizione la gup Raffa ha fissato già due date, il 20 e il 27 novembre. Per Cannone sempre la giudice ha deciso il rinvio a giudizio, fissando la data d’inizio del processo in corte d’assise per il 9 ottobre prossimo.

Un altro dato fondamentale è che l’accusa, in aula c’erano il procuratore aggiunto Vito Di Giorgio e il sostituto della Dda Francesco Massara, ha depositato gli atti delle ultime novità sulle cose barcellonesi: i verbali della clamorosa “dissociazione” da Cosa nostra del boss Salvatore Sem Di Salvo, da anni ristretto al 41 bis, e i verbali rilasciati temporalmente dopo dall’imprenditore Carmelo Mastroeni, da sempre ritenuto molto vicino a Di Salvo, in cui ha raccontato di essere stato in pratica costretto a partecipare con la sua pala meccanica alle fasi precedenti e successive di un’esecuzione, prima per la realizzazione della buca e poi per la sepoltura del corpo.

Ma è il “caso Marchetta” che ha tenuto banco durante l’udienza, risolto con una decisione adottata dalla gup Raffa seduta stante dopo aver ascoltato tutti. Ha accolto in pratica l’eccezione d’incompatibilità sollevata in apertura dall’avvocato Fabio Repici, che al processo assiste il pentito Micale. Il nome di Maurizio Sebastiano Marchetta come avvocato «... del foro di Milano» era comparso infatti nell’atto di chiusura delle indagini preliminari accanto al primo difensore di Salvatore “Sem” Di Salvo, ovvero l’avvocato Tino Celi. E si tratta dell’architetto ed ex vice presidente del consiglio comunale di Barcellona, in quota An, nonché insieme ai familiari gestore dell’impresa Cogemar, che per un periodo fu un teste di giustizia e “dichiarante”. E che dopo aver conseguito una laurea in legge probabilmente in Spagna (“abogado”), adesso esercita la professione appunto di avvocato. Marchetta in passato raccontò tra le altre cose che era stato costretto a subire l’incendio di mezzi meccanici e alcune richieste estorsive.

Dopo le sue dichiarazioni la Dda di Messina formalizzò le accuse per i boss Bisognano e D’Amico e per Pietro Nicola Mazzagatti. Si trattò dell’operazione “Sistema”, che poi vide la condanna di Mazzagatti e l’assoluzione di Bisognano e D’Amico a Reggio Calabria, dopo un annullamento della Cassazione. Sempre Marchetta, tra l’altro, ha subito un processo per concorso esterno alla mafia barcellonese, deciso in primo grado dalla gup Monica Marino nel 2018. Che si concluse per la giudice con una duplice valutazione. Ovvero che fino al 2003 c’erano una serie di prove evidenti, anche se in qualche caso contraddittorie, che il concorso esterno alla mafia barcellonese ci fosse stato, e la prova principale era il suo rapporto privilegiato con Salvatore “Sem” Di Salvo. Ma al 2018 ormai era tutto prescritto dal tempo. Per il dopo-2003 invece la gup Marino lo assolse da ogni accusa.

Questi fatti ieri mattina sono stati rappresentati in aula dall’avvocato Repici, che ha posto un problema di incompatibilità di Marchetta non solo con il suo assistito Di Salvo, ma anche con tutti gli altri imputati. La gup Raffa dopo aver analizzato la questione direttamente in aula, senza ritirarsi in camera di consiglio, ha deciso di accogliere l’istanza dell’avvocato Repici e ha dichiarato l’incompatibilità di Marchetta ex art. 106 c.p.p., ovvero l’articolo che si occupa proprio dei casi di incompatibilità del difensore.

Nella sua ordinanza la gup ha esaminato sostanzialmente due profili per la posizione di Marchetta: per un verso risulta dalla sentenza del giudizio abbreviato a suo carico che, seppure dichiarato il reato estinto per prescrizione, è stato ritenuto responsabile di concorso esterno in associazione mafiosa proprio in relazione alla “famiglia barcellonese” fino all’anno 2003, e seppure i fatti del processo risalgono ad anni precedenti la circostanza è comunque rilevante; per altro verso dalla stessa sentenza risultano cointeressenze economiche e imprenditoriali fra Marchetta e Di Salvo, tenendo anche conto del fatto che sempre dalla stessa sentenza risulta che Marchetta è stato sottoposto a estorsione dallo stesso Di Salvo. Alla luce di tutto questo la gup Raffa ha poi invitato Di Salvo a rimuovere l’incompatibilità entro 30 giorni per scegliere un altro difensore. Fermo restando - ha spiegato -, che la presenza dell’altro suo legale, l’avvocato Tino Celi, garantisce la piena assistenza difensiva.

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