«Unirà la Sicilia al Continente e il Mediterraneo all’Europa. Sarà lo snodo fondamentale di un sistema infrastrutturale integrato, al servizio del territorio e dei cittadini. Implementerà il “Corridoio Scan-Med” (Helsinki-Palermo-La Valletta) proiettando verso l’Europa la più grande e popolosa isola del Mediterraneo». Il focus sul Ponte dello Stretto di Messina e sul sistema di opere infrastrutturali ad esso collegate, fatto durante il convegno organizzato dall’Università Kore di Enna (con il suo Centro “Marta”), è servito per inquadrare il progetto più “sfidante”, e controverso, della Storia dei lavori pubblici in Italia, in uno scenario ben più ampio, sfatando alcuni luoghi comuni ed entrando nel dettaglio degli aspetti tecnici, che sono poi quelli che dovrebbero essere dirimenti, rispetto alle contrapposizioni politiche e agli scontri ideologici dei “Sì” e dei “No”.
Obiettivo pienamente centrato, quello dell’Università di Enna, retta dal prof. Francesco Tomasello e presieduta dal prof. Cataldo Salerno e con la direzione generale affidata a Salvatore Berrittella. «Non facciamo politica, non ci schieriamo – hanno ribadito Tomasello e Salerno – ma quello che ci preme è affrontare le questioni sul piano scientifico e sgombrare il campo da quell’insopportabile vezzo del “benaltrismo”, di chi continua a ripetere “prima di fare questo, ci vuole quello...”». E proprio per oltrepassare tale logica, i vertici di Rfi e di Anas hanno illustrato, nel dettaglio, quello che si sta facendo tra Calabria e Sicilia, con investimenti mai programmati finora, con opere in corso che già ammontano a decine di miliardi di euro, con altre pronte a partire in un orizzonte temporale relativamente breve. La «rivoluzione trasportistica», di cui ha parlato il presidente nazionale di Rfi, Dario Lo Bosco, «è in atto» e negarlo sarebbe solo un peccato di malafede. Poi, come è stato giustamente detto, le opere vanno portate avanti e completate, gli interventi su strade, autostrade, ferrovie, comportano disagi, occorre fare in modo che i territori li subiscano nel modo più attenuato possibile (e a volte è quasi proibitivo riuscire in questo compito) ma è anche vero che non ci si può lamentare – come accade da un secolo o giù di lì – delle gravissime carenze infrastrutturali sopportate da Calabria e Sicilia e poi, nel momento in cui si realizzano le opere, gridare allo scandalo e dire che non vanno fatte.
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