È quasi all’epilogo davanti ai giudici della prima sezione penale del tribunale di Messina il processo per i “fatti di Mojo Alcantara”, che vede coinvolti sette imputati e tratta delle presunte infiltrazioni mafiose al Comune. Ieri l’accusa ha chiesto sette pesanti condanne. Le indagini della Distrettuale antimafia di Messina e della Guardia di Finanza portarono a maggio del 2022 all’arresto dell’allora sindaco del centro ionico Bruno Pennisi, della sua vice Clelia Pennisi, dell’ex assessore ai Lavori pubblici di Malvagna Luca Giuseppe Orlando, di Carmelo Pennisi, Giuseppe Pennisi e dell’imprenditore Antonio D’Amico. Ai domiciliari finì Santo Rosario Ferraro, un altro imprenditore. Tutti e sette sono ora imputati con accuse diversificate nel processo che si sta concludendo Messina, dopo la richiesta di rito immediato avanzata a suo tempo dalle pm della Dda Liliana Todaro e Antonella Fradà, che condussero l’inchiesta della Finanza. Il processo dal punto di vista tecnico è diviso in due, perché Giuseppe Pennisi e Clelia Pennisi scelsero il rito abbreviato per ottenere uno “sconto” di pena, mentre gli altri proseguirono con il rito ordinario. Ieri mattina le richieste di pena dell’accusa, in aula le pm Todaro e Fradà: con il rito ordinario, Antonio D’Amico, 9 anni di reclusione; Santo Rosario Ferraro, 6 anni; Luca Giuseppe Orlando, 12 anni; Bruno Pennisi, 10 anni e 6 mesi; Carmelo Pennisi, 13 anni; con il rito abbreviato, Giuseppe Pennisi, 8 anni e 6 mesi; Clelia Pennisi, 7 anni e 3 mesi. Nutrito il collegio di difesa che adesso dovrà intervenire alle prossime udienze, composto dagli avvocati Vittorio Basile, Giancarlo Padiglione, Salvatore Pagano, Nunzio Rosso, Francesco Strano Tagliareni, Franco Rosso, Antonino Pillera, Carlotta La Spina, Giovanni Spada e Giuseppe Testa.