Messina

Sabato 02 Novembre 2024

Il Piano del Mare, svolta storica. "Lo Stretto di Messina è una delle piattaforme energetiche più importanti del mondo"

Il contrammiraglio Rosario Marchese, messinese classe 1961, consigliere del ministro delle Politiche del Mare Nello Musumeci, è tra i componenti della “Struttura di missione” che sta dando attuazione al Piano nazionale del Mare. Lo abbiamo incontrato per fare il punto su uno degli atti potenzialmente più “rivoluzionari” adottati dal Governo italiano. È la prima volta che l’Italia si è dotata di un Piano del Mare. «Sì, il Piano nazionale del Mare è uno strumento strategico indispensabile e per la prima volta il Governo ha messo al centro della propria agenda politica il problema del Mare. Mare come crescita economica e sviluppo sostenibile. È nata, dunque, la Struttura di missione, che ora è diventato Dipartimento con decreto legge pubblicato lo scorso 15 maggio ed è stato istituito il “Cipom”, il Comitato interministeriale per le Politiche del Mare. Al tavolo sono seduti i titolari dei dicasteri che hanno competenze sui vari temi legati al Mare». Nella delibera di approvazione del Piano, risalente al luglio 2023, vengono indicate 16 direttrici. «Esattamente, sono le 16 tematiche sulle quali è impegnato il “Cipom”, che fa da cabina di regia tra tutti i Ministeri interessati e che ha un’interlocuzione costante con i territori. Le direttrici sono: 1) spazi marittimi; 2) porti; 3) rotte commerciali; 4) industria armatoriale; 5) lavoro marittimo; 6) cantieristica; 7) energia proveniente dal mare; 8) transizione ecologica del settore marittimo; 9) pesca e acquacoltura; 10) conservazione degli ecosistemi e aree marine protette; 11) cambiamenti climatici; 12) dimensione subacquea e risorse geologiche dei fondali; 13) sistema delle isole minori; 14) turismi del mare; 15) cooperazione europea e internazionale; 16) sicurezza». Da chi è composto il Comitato interministeriale? «A presiederlo è il ministro delle Politiche del Mare, Nello Musumeci. Vi fanno parte i ministeri della Difesa, dell’Economia, del Made in Italy, dell’Agricoltura, dell’Ambiente e Sicurezza energetica, delle Infrastrutture e Trasporti, del Turismo, degli Affari regionali e Autonomie, degli Affari europei e del Sud, insieme con i presidenti della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, dell’Associazione nazionale dei Comuni e dell’Unione province italiane». Come si è arrivati al Piano del Mare? «C’è stato un lungo lavoro di preparazione, di ascolto e di acquisizione delle problematiche evidenziate dal “cluster” marittimo, cioè da tutti gli operatori, le associazioni di categoria, gli “stakeholders”, gli armatori e poi da Assoporti, dal Comando delle Capitanerie e dalle Autorità di sistema portuale. È un Piano che affronta le tematiche del Mare a 360 gradi. L’obiettivo finale è arrivare a un ministero del Mare con la propria autonomia economico-finanziaria. Il ruolo del ministro Musumeci è stato determinante». È uno strumento già operativo? «Assolutamente sì, dalla scorsa estate. Trattandosi di uno strumento “scorrevole”, cioè agile e flessibile, è previsto l’aggiornamento ogni anno, con la definizione degli obiettivi da realizzare nell’arco del triennio». Finora è stata proprio la frammentazione delle competenze a impedire una visione generale. «Come è scritto nella delibera di approvazione del Piano, ciò che emerge con forza è l’esigenza di raccordare tali temi in maniera armoniosa, con una visione unitaria e onnicomprensiva tesa alla valorizzazione della “risorsa mare”. Il Mare rappresenta, infatti, una delle più importanti fonti di crescita economica e di prosperità per l’Italia e per l’Unione europea. La nostra nazione, circondata da più di 7.500 chilometri di coste (di cui 3.850 insulari) e da circa 155.000 chilometri quadrati di acque marittime territoriali, può vantare una posizione strategica nel Mar Mediterraneo. L’Italia vanta la quinta flotta di bandiera tra le maggiori economie appartenenti al G20, la leadership mondiale nel settore delle navi traghetto, per lo più impiegate nel cabotaggio marittimo, e la quinta flotta di navi cisterna per il trasporto di idrocarburi. Il 57% delle nostre importazioni e il 44% dell’esportazioni, corrispondenti a circa 480 milioni di tonnellate di merci trasportate, transitano via mare. Un altro primato rilevante, connesso alla intrinseca marittimità del nostro Paese, riguar- da l’industria cantieristica, sia per il settore crociere che per il diporto, nonché il traffico di navi passeggeri. Inoltre la pesca, diffusa lungo tutte le coste italiane, riveste un ruolo sociale ed ambientale di primo piano e, unitamente all’acquacoltura, pesa nelle politiche alimentari della nazione. Il ruolo della “Blue economy” diventa sempre più strategico». In concreto, cosa dobbiamo aspettarci dall’attuazione di questo strumento? «Il Mare deve diventare uno straordinario motore di crescita economica e sviluppo sostenibile. Il Piano consiste in una serie di “indirizzi strategici”, che costituiscono i macro-obiettivi politici, in materia di sviluppo della “risorsa mare”. Allo scopo di sviluppare tali indirizzi in progetti concreti, il “Cipom” è stato supportato dalla “Struttura di missione per le Politiche del Mare” che, a sua volta, si è avvalsa di dieci esperti nominati. Il “Cipom”, con il supporto della “Struttura di missione”, adotta le iniziative idonee a superare gli ostacoli e le criticità eventualmente emerse, assicurando un coordinamento che sia il più possibile aderente alle reali esigenze del comparto marittimo. Lo ripeto, gli indirizzi strategici e gli obiettivi sono quelli che si riferiscono a ognuno dei 16 settori di riferimento indicati dalle direttrici. Naturalmente, come ha spiegato più volte il ministro Musumeci, non tutto potrà essere realizzato contemporaneamente, anche in considerazione delle diverse tempistiche legate al tipo e alla dimensione dell’intervento, fermo restando che sarà prerogativa del “Cipom” stabilire le priorità di realizzazione, attraverso valutazioni di efficacia, efficienza e sostenibilità delle soluzioni proposte. In tal senso, sono state evidenziate tematiche che senz’altro appaiono urgenti, quali, ad esempio, la riforma del Codice della Navigazione, una disciplina snella e uniforme per i dragaggi, nonché i collegamenti con le Isole minori, capitolo che sta particolarmente a cuore a Musumeci. Non vanno, inoltre, dimenticate le questioni relative alla transizione ecologica e allo sfruttamento delle risorse geologiche dei fondali e alla sicurezza». Le ricadute del Piano sui nostri territori? «I punti di forza della Sicilia sono il turismo costiero, il diporto nautico, le piattaforme dell’Eolico. Lo Stretto di Messina è una delle piattaforme energetiche più importanti del mondo. Stiamo portando avanti i progetti “offshore”, con l’installazione di pale eoliche sottomarine, che potrebbero dare l’autosufficienza energetica a quest’Area. L’Isola non è solo la principale piattaforma logistica ma è anche il vero hub energetico del Mediterraneo, nel fondo del suo mare passa il maggior numero di cavi sottomarini, che collegano l’Europa all’Asia e al Nord Africa. A Catania e Palermo abbiamo i migliori hub energetici d’Europa. I cavi sottomarini non sono impattanti, se si guastano, si riparano, senza che provochino inquinamento, non sono oleodotti. Sono cose che molti non sanno, ma la strategicità della Sicilia nel mondo delle comunicazioni “tout court” si fonda proprio su questi progetti. Di recente, è stato istituito dalla Marina militare il Polo nazionale della dimensione subacquea, la cui importanza verrà compresa nei prossimi mesi e anni, basta pensare soltanto a un dato: solo il 20 per cento delle risorse subacquee è sfruttato, pensate a quello che può accadere proprio in maniera di transizione energetica se si sfruttasse l’altro 80%. Ed è proprio su questo che stiamo lavorando». Lei ha lavorato nelle Capitanerie di porto in Sicilia e in Calabria, conosce bene le dinamiche, le istanze e le criticità dei territori. «Ho assunto l’incarico di consigliere del ministro anche per questo, la mia “missione” è proprio quella di valorizzare la “marittimità” di regioni come Sicilia e Calabria, perché si dice spesso che dovremmo vivere delle “risorse del mare” ma, per troppo tempo, è accaduto il contrario e abbiamo voltato le spalle al nostro mare».

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