La sua esistenza sembrava già segnata dalla nascita. Il primo pianto in una cella fredda durante la detenzione di sua madre alla "Giudecca" di Venezia . «Sono Andrea – racconta – un ragazzo milanese, "adottato da Messina", nato in circostanze poco usuali. La mia vita è iniziata tra le mura grigie e fredde di un istituto penitenziario e fin da piccolo ho conosciuto il mondo chiuso e claustrofobico della prigione». Crescere in quel contesto è stato difficile e alienante. Mancavano le feste con i compagni di classe, le domeniche al centro commerciale o al parco giochi a prendere a calci un pallone. In definitiva, un'infanzia segnata dalla solitudine e dalla mancanza di esperienze tipiche della giovinezza Un tempo che non tornerà mai indietro: «Quando finalmente sono uscito dal carcere, – continua – ho trovato rifugio da mia nonna materna nel quartiere di Quarto Oggiaro, a Milano. Ma invece di trovare la pace e la normalità che cercavo, mi sono ritrovato immerso in un ambiente violento e pericoloso. Ho iniziato a frequentare le strade oscure della criminalità, incontrando lo spaccio di droga, le risse tra bande rivali e il pericoloso mondo delle armi utilizzate per il controllo del territorio». In brevissimo tempo, il giovane ha perso la sua innocenza e si è ritrovato coinvolto in attività criminali sempre più gravi. Ha partecipato a sequestri di persona e concorsi in omicidi. Tutte cose che agli occhi degli altri lo rendevano uno scarto della società: «La mia vita era un vortice di violenza e illegalità, - prosegue - senza speranza di uscirne. All'età di diciannove anni, sono tornato in carcere, lasciando fuori il mio bambino di diciassette mesi, Claudio, nato da una relazione con una ragazza milanese. I capi d'imputazione pesanti mi hanno prospettato in primo grado oltre trent' anni di carcere, una condanna che in appello si è ridotta a ventidue anni». Così è iniziato il viaggio attraverso le carceri italiane. Da Nord a Sud, Andrea ha viaggiato di prigione in prigione, vivendo una vita di isolamento e disperazione. Ma dopo sedici anni di detenzione, una luce di speranza ha illuminato questo cammino che sembrava finito e al tempo stesso infinito: «Sono stato scarcerato dalla casa circondariale di Bollate per passare a una misura alternativa alla detenzione su proposta di un percorso di formazione e reinserimento offerto dall'associazione "Overland" di Messina. Leggi l'articolo completo sull'edizione cartacea di Gazzetta del Sud - Messina