Resta in carcere il medico 72enne Antonino Barbera, l’indagat principale dell’inchiesta della Procura e della Finanza su un grosso giro di truffe sul Superobonus, il famigerato 110%. La gip Pastore ha infatti rigettato l’istanza di affievolimento della misura che aveva presentato nei giorni scorsi il suo difensore, l’avvocato Carlo Merlo. Nell’ambito dell’inchiesta sono sei le misure restrittive, una in carcere e cinque agli arresti domiciliari decise alla fine di marzo dalla gip Pastore. Il medico di base Barbera è considerato dagli inquirenti a capo di una vera e propria associazione a delinquere. Solo per lui è stato deciso il carcere, tutti gli altri si trovano agli arresti domiciliari. Tra gli indagati c’è il commercialista romano 63enne Roberto Pisa, considerato uomo di fiducia di Barbera, di cui è cugino. Quindi i parenti: la moglie 68enne del medico, Felicia De Salvo; la sorella 67enne del medico, Domenica Barbera; il figlio del medico, il 44enne Nicola Barbera; e infine la nuora del medico e moglie del figlio, la 43enne Silvia Lo Giudice. Sono poi coinvolte quattro società create dal gruppo per gestire questa mole di denaro: la Barolbed srl e la Safinservice srl, di cui era amministratore unico Antonino Barbera; e poi la Panconsul srl e la Euconsul srl, di cui era amministratore unico la moglie del medico, Felicia De Salvo. Per gli indagati, a vario titolo, la Procura ipotizza l’associazione per delinquere finalizzata alla commissione di truffe per ottenere erogazioni pubbliche, una serie di accessi abusivi al sistema informatico, e poi indebite compensazioni di debiti fiscali, infine l’autoriciclaggio. Gli indagati - ha scritto la Finanza - hanno lucrato sui benefici fiscali introdotti dal dl 34 del 2020, il cosiddetto decreto “Rilancio” e dalle successive integrazioni. Tutto ha avuto origine dalla denuncia di un ignaro paziente del medico, che l’8 febbraio del 2022 ha ricevuto una telefonata da un funzionario dell’Agenzia delle Entrate, che gli ha comunicato che nel suo cassetto fiscale vantava crediti d’imposta per ben 1,3 milioni di euro, riconducibili a lavori di ristrutturazione edilizia mai eseguiti. Crediti che lui risultava aver ceduto a terzi. Ovviamente l’ignaro paziente del medico saltò sulla sedia, perché non ne sapeva nulla di quel milione di euro e rotti che “possedeva”.