Oscilliamo in precario equilibrio tra gli scenari desolanti di cifre, classifiche e stime Istat e le mirabolanti promesse di un futuro che potrebbe essere alle porte. Messina è a un crocevia di fondamentale importanza. E c’entra il Ponte sullo Stretto, ma non solo. Tra interventi infrastrutturali, un possibile clamoroso rilancio turistico (che è già in corso, su diversi fronti) e la nascita del Polo di innovazione tecnologica, l’I-Hub dello Stretto che dovrebbe attrarre multinazionali e fare da elemento catalizzatore di nuove start-up giovanili, ci sono linee strategiche tracciate. Se poi sono solo parole scritte sulla sabbia, lo verificheremo nei prossimi mesi. Non si può, però, non partire dal Ponte e dalla prospettiva di una imminente apertura della fase di cantierizzazione, che il Governo e la società “Stretto di Messina” continuano a fissare alla fine dell’estate 2024. Nella Relazione di aggiornamento del progetto definitivo, approvata lo scorso 15 febbraio dal Cda della “Stretto”, vi è un capitolo dedicato all’impatto occupazionale della grande opera, con la previsione di complessive 120mila unità lavorative. Cifre che vengono contestate dai Comitati e dalle associazioni NoPonte. In ogni caso, si stima che in cantiere saranno occupati mediamente 4.300 addetti all’anno, che raggiungeranno un picco di 7.000 addetti nel periodo di maggiore produzione. Per tutta la durata del cantiere – riferimento al Ponte e alle opere strettamente collegate –, prevista in 7 anni, si avrà dunque un impatto occupazionale diretto di circa 30.000 unità lavorative per anno, alle quali si deve aggiungere l’impatto occupazionale indiretto e indotto, che viene stimato in 90.000, per un totale di 120.000 unità lavorative «generate dell’opera».
In queste settimane, si è discusso molto di formazione del personale, di reperimento dei tecnici e dei professionisti, della manodopera specializzata che dovranno essere impiegati nei cantieri del Ponte e di tutte le altre infrastrutture connesse, a partire dalla grande Metropolitana del Mare prevista tra Messina e Reggio Calabria. L’Ance messinese è intervenuta di recente, chiarendo che le imprese del territorio sono pronte a formare, in sinergia con il Consorzio Eurolink, tutte le figure richieste: operai specializzati, carpentieri, ferraioli, operatori di macchina, minatori, operatori di “Tbm” (le cosiddette “talpe meccaniche”, già in azione nei cantieri del raddoppio ferroviario), fabbri, saldatori e autisti. E questi sono i lavoratori diretti. Molto più ampia ovviamente la fascia dell’indotto, che potrebbe riguardare tutte, o quasi, le attività della normale vita cittadina, a partire dalla ristorazione, dalla ricettività, dal potenziamento degli esercizi commerciali, dai servizi di lavanderia industriale, e l’elenco potrebbe non finire mai.
Può essere anche “odiata” quest’opera, ma che sia un elemento di fortissima attrazione, anche turistica, nessuno può negarlo. E la promozione di Messina-Reggio, come due facce della stessa grande conurbazione, in ogni caso sta dando i suoi frutti. Come conferma la disponibilità a investire su questi territori di grandi aziende di livello internazionale. Solo sulla nostra sponda dello Stretto, da qui ai prossimi mesi, potrebbero maturare alcune operazioni importanti, tra le quali anche la realizzazione di due nuove strutture alberghiere “extra-lusso”, a colmare un target che attualmente Messina non riesce a soddisfare. Quello che la città deve necessariamente portare avanti, però, al di là delle questioni infrastrutturali, è un vero e proprio Piano d’urto soprattutto contro la disoccupazione giovanile e femminile. Sono quei dati, quelle percentuali, che abbiamo pubblicato innumerevoli volte, che continuano ad avere l’effetto di un pugno sullo stomaco. Una città che non riesce a dare lavoro ai giovani e autentiche pari opportunità alle donne, è senza futuro.