E' diventata ormai una materia in continua evoluzione la “mafia dei pascoli” sulle truffe agricole all'Unione Europea dei gruppi mafiosi tortoriciani. E' appena finita l'eco dell'operazione Nebrodi 2, che un paio di settimane addietro ha seguito a distanza di quattro anni la “Nebrodi” del 2020, e adesso c'è da registrare altro.
Stamane la Guarda di Finanza ha infatti eseguito un maxi sequestro di beni di 2 milioni per cinque dei principali indagati proprio della prima operazione Nebrodi, ovvero il vertice del gruppo Faranda. Si tratta di Aurelio Salvatore Faranda, Giuseppe Massimo Faranda, Sebastiano Craxì, Gaetano Faranda e Salvatore Antonino Crascì.
Terreni anche in altre province oltre quella di Messina, aziende agricole, case, conti-correnti, mezzi, polizze assicurative, buoni fruttiferi. Insomma l'impressionante reticolo che i gruppi avevano creato per drenare milioni di euro. In dettaglio si tratta di 2 compendi aziendali comprensivi dei relativi beni patrimoniali (attivi nel settore agricolo), 42 immobili (8 unità immobiliari e 34 terreni), 22 depositi al risparmio, 21 conti correnti, 14 polizze vita e 2 quote societarie, che rientravano nella disponibilità diretta e indiretta, o comunque erano riconducibili ai proposti, per un valore stimato di oltre 2 milioni di euro. Un impressionante reticolo che i gruppi avevano creato per drenare milioni di euro. I decreti sono siglati dai giudici della sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Messina, su richiesta del pool di magistrati che ormai da anni si occupa di questa materia, ovvero il procuratore aggiunto di Messina Vito Di Giorgio e i sostituti della Dda peloritana Fabrizio Monaco, Francesco Massara e Antonio Carchietti.
La prima maxi operazione Nebrodi risale al gennaio del 2020, e venne realizzata dalla Guardia di Finanza, dai carabinieri del Ros e del Gruppo tutela agroalimentare. Smantellò un gigantesco sistema di interessi criminali sui fondi europei che si replicava da anni nel silenzio generale. Portò all'arresto di oltre 100 persone, per 91 delle quali, il 31 ottobre del 2022, i giudici del Tribunale di Patti a conclusione del processo di primo grado emisero una storica sentenza, infliggendo complessivamente oltre 600 anni di carcere. Il 14 febbraio per questa prima inchiesta è iniziato il processo d'appello. I punti contestati dalla Procura di Messina rispetto alla sentenza di primo sono 53. E il primo argomento è ritenuto fondamentale dai pm: il tribunale di Patti non ha considerato il gruppo dei Faranda, capeggiato da Aurelio Salvatore, come un’associazione mafiosa organica al gruppo dei Bontempo Scavo, ma come una associazione a delinquere semplice; secondo la Dda ci sono invece le prove, e le evidenze del dibattimento lo hanno confermato, che il gruppo dei Faranda dovrebbe essere considerata un’associazione mafiosa a tutti gli effetti, per la cosiddetta “unitarietà” della mafia in un determinato territorio.
E in questi nuovi provvedimenti di sequestro - in materia di prevenzione ci sono altre valutazioni possibili per i giudici rispetto al piano prettamente penale -, la Distrettuale antimafia ha ribadito i suoi convincimenti sul gruppo Faranda. C'è un passaggio del provvedimento di sequestro che riguarda Salvatore Aurelio Faranda molto emblematico del contesto. Scrivono i giudici delle Misure di prevenzione: “la vorticosa creazione di svariate società (fondate all'incirca nel 2013 ma di fatto sfruttate nelle loro massime potenzialità criminali solo a partire dal 2015) attingendo a fidati (e spesso bisognosi, quando non sprovveduti) prestanome da far apparire ora quali legali rappresentanti ora quali soci delle varie cooperative, tanto numerosi e variegati, essendo variamente riconducibili all'uno o all'altro dei fratelli Faranda, da far a volte confondere (nel confezionamento dei documenti utilizzati in sede di presentazione delle domande, come si avrà modo di vedere in alcuni casi concreti) persino gli organizzatori delle singole truffe”.
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