Quel demonio del crack, che rovina vite e famiglie. E' un vero e proprio sos quello che arriva dalla comunità Faro che, in Sicilia, gestisce diverse strutture per tossicodipendenti. Di storie le mura della Faro ne potrebbero raccontare centinaia. Di giovani che arrivano in comunità senza pace, agitati, iperattivi, frenetici, irritabili. Che raccontano di fare uso di crack sin dai 10 anni. E che col tempo sono diventati anche spacciatori...
“La cosa più bella che mi è successa è che mi hanno arrestato, perché se non lo avessero fatto sarei morto di cocaina o commettendo qualche reato”. Enrico – è un nome di fantasia – è giovane, ha una figlia di 8 anni, un passato da tossico e un futuro ancora da scrivere. Per fortuna. E grazie alla comunità. Era un ragazzo come tanti, figlio di genitori separati, stava bene economicamente, era uno sportivo...
A 16 anni, con gli amici, ha iniziato a provare la marijuana. A 18 per “ravvivare” qualche week end la cocaina. Credeva di poterlo controllare e, come tutti, si sbagliava. Col tempo ogni pretesto era buono, pur di farsi. E per drogarsi ha iniziato anche a spacciare, ha deluso chi lo amava, è andato a vivere per strada.
“Di aiuti ne avrei potuti avere tanti – spiega - ma ero un tossico e pensavo di non avere bisogno di nessuno. Sono arrivato ad assumere fino a 10 grammi al giorno per qualche anno. A spacciare per potermi permettere una camera d'albergo che lasciavo dopo quattro ore, una vita senza senso”.
Così Enrico è finito in un vortice di sbagli da cui non riusciva ad uscire. Poi si è guardato allo specchio e non si è più riconosciuto. Lì sono arrivati gli arresti. “Ringrazio il giudice che ha firmato il mio mandato di cattura, perchè mi ha salvato la vita” racconta.
Era contrario alle comunità, ma quando è stato in carcere un altro detenuto gli ha detto: “Io ci sono stato, non ho saputo cogliere l'occasione che mi stavano dando e sono tornato qua, tu provaci, prova a cambiare davvero, hai ancora una vita davanti”.
Così Enrico ci ha provato. “Oggi ho capito che spacciare una dose di cocaina era come vendere morte, perché quel ragazzo avrebbe potuto anche non svegliarsi il giorno dopo, io stavo vendendo veleno e per questo mi sento uno schifo, in quel momento pensavo soltanto a me, a stare bene, ad avere droga e soldi, senza riflettere sul male che stavo facendo non solo alla persona a cui spacciavo, ma anche a tutta la sua famiglia”.
Così la comunità lo ha cambiato. Non è stato facile: “Tante volte ho pensato di voler mollare la presa, di volere andare via, ma ho trovato sempre una spalla su cui appoggiarmi e piangere, io che non avevo mai pianto davanti a qualcuno”.
La comunità Faro gli ha restituito i sogni: “Adesso ho un obiettivo, riprendere la mia vita e riabbracciare mia figlia. Se guardo al mio passato vorrei un telecomando per tornare indietro, non tanto per non rifare gli stessi errori, perchè tutto quel dolore mi ha insegnato tanto, quanto per riavere sette anni di mia figlia, perchè quelli non potrà restituirmeli nessuno, la prima volta che ha detto papà, il primo passo...”.
Riconoscere di avere bisogno di aiuto è il primo passo e trovare un luogo in cui farsi aiutare: “Questa comunità – dice Enrico – si chiama Faro, immagino che quando uscirò da qui sarò come una nave che dovrà affrontare tante prove, ma da lontano vedrò sempre questo faro, certo che troverò qualcuno che potrà porgermi una mano, un abbraccio, una spalla e dirmi, ok, ci sono io qua...”.
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