L'indagine portata a termine dalla Procura distrettuale antimafia ha permesso di svelare, oltre a mandanti ed esecutori del duplice omicidio di Antonino Accetta e Giuseppe Pirri, anche il reale movente della macabra e plateale esecuzione di mafia avvenuta nel cimitero di Barcellona, la sera del 20 gennaio 1992.
Sarebbe stata una rapina, commessa da Accetta e Pirri e da un terzo loro amico, ai danni di una coppia di anziani che giorni prima avevano riscosso la pensione in contanti all'ufficio postale di Pozzo di Gotto, in tutto 820 mila lire, a fare scatenare l'ira del gotha mafioso locale capeggiato da Giuseppe Gullotti.
Infatti, come raccontano i collaboratori di giustizia, il boss, seminando il terrore aveva imposto, attraverso l'organizzazione criminale, una sorta di ordine sociale, stabilendo tassativamente che in città non dovevano verificarsi rapine e furti. Così come hanno ricostruito inquirenti e investigatori, Antonino Accetta e Giuseppe Pirri, assieme ad un loro amico parteciparono alla rapina che fu compiuta a volto coperto, così come confermarono le stesse vittime.
Ad accorgersi che Accetta e Pirri avevano stazionato nei pressi dell'abitazione dei due anziani furono Salvatore Micale, Carmelo D'Amico e Nunziato Mazzù che avevano notato la presenza delle moto solitamente utilizzate da Pirri, Accetta e da tale Egidio. Dal racconto che il collaboratore di giustizia Carmelo D'Amico ha fatto nel corso della sua collaborazione, emerge che quella stessa sera, dopo l'atroce esecuzione, la mafia aveva anche brindato all'esecuzione dei due giovani uccisi sull'altare del del cimitero.
Risulta infatti che a tarda sera, dopo aver accompagnato Nino Ofria a casa sua, D'Amico si era recato a casa di Giuseppe Gullotti, dove aveva ritrovato anche Salvatore Di Salvo, Giuseppe Isgrò e Renzo Messina, che stavano brindando per festeggiare gli omicidi. In quell'occasione D'Amico avrebbe ricordato a Gullotti la necessità di spostare le autovetture delle due vittime dal parcheggio in cui gli stessi li avevano lasciate. Infatti nessuno dei presenti si sarebbe preoccupato di recuperare le chiavi rimaste nelle tasche delle vittime. Gullotti si sarebbe lamentato tanto. Fu per questo che D'Amico insieme a Sam Di Salvo, Giuseppe Isgrò e Renzo Messina, a bordo del fuoristrada di Messina, dovettero ritornare sul luogo del delitto. Recuperate le chiavi le auto due auto vennero poi trasportate nel greto del torrente Patrì e incendiate. Le salme dei due giovani, con le mani legate con una corda dietro la schiena, trucidati a colpi di pistola calibro 38, furono rinvenute intorno alle 9,30 del mattino.
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