Angelo Ferro aveva 56 anni quando decisero di ammazzarlo. La prima cosa che fece quella mattina, il 27 maggio del 1993, in via Gramsci, a Milazzo, di mattina presto, quando capì che era finita, fu quella di proteggere con il corpo sua figlia, che stava accompagnando a scuola come sempre. L’ultimo gesto d’amore infinito di un padre. Erano le 8 e 15 della mattina, era sulla sua Fiat Croma, i killer s’affiancarono con la classica moto, spararono diverse volte con una calibro 7.65 e una calibro 38, non gli diedero scampo. La figlia ne uscì miracolosamente incolume, terrorizzata, e in un lago di sangue, la macchina senza controllo si fermò sbattendo contro una cancellata, aveva percorso poche centinaia di metri dalla loro casa.
Angelo Ferro era un agronomo, era assistente tecnico alla Condotta agraria di Milazzo. Aveva avuto qualche problema con la giustizia. L’inchiesta sulla sua esecuzione non portò a nulla, diventò uno dei tanti fascicoli sui casi irrisolti.
Ferro, probabilmente per il suo lavoro che lo portava in giro per le campagne e le strade anche fuori provincia, avrebbe forse fornito una serie di indicazioni utili agli investigatori della Polizia per catturare il boss Santapaola.
Perché fu ucciso però non s’è mai saputo con certezza. Almeno fino ad oggi. A quanto pare una delle spiegazioni che all’epoca sussurrò qualche investigatore che vedeva lontano fu proprio quella di legare la morte di Ferro alla cattura del boss etneo Nitto Santapaola, avvenuta il 18 maggio del 1993 a Mazzarrone, nella ormai storica operazione “Luna piena” del Servizio centrale operativo della Polizia.
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