La vicenda del mafioso barcellonese Rosario Pio Cattafi, condannato in via definitiva a sei anni di reclusione come “organico” a Cosa nostra barcellonese fino al 2000, attualmente detenuto a Milano-Opera, non è ancora chiusa. Per il protagonista a suo tempo anche di un caso clamoroso, quasi unico in Italia, ovvero di un detenuto che passò direttamente dal regime del “41 bis” alla libertà, s’è riaperta una finestra in Cassazione. Il suo difensore, l’avvocato Salvatore Silvestro, ha presentato infatti un ricorso straordinario, la cui trattazione è stata fissata davanti alla quinta Sezione penale per il prossimo 29 febbraio. Nel ricorso il legale contesta alcuni profili della sentenza con cui la stessa Cassazione, il 16 maggio dello scorso anno, rigettando il ricorso difensivo aveva praticamente dichiarato definitiva la condanna inflitta a Cattafi il 6 novembre del 2021 dalla Corte d’appello di Reggio Calabria, dopo una vicenda giudiziaria lunghissima. La corte reggina, con una motivazione che sottolineò il suo importante ruolo di «cerniera» fra Cosa nostra e il potere legale, rideterminò la pena in sei anni di reclusione rispetto alle decisioni precedenti. Cattafi venne definito in sentenza anche un “colletto bianco” della mafia barcellonese, ed anche un elemento di raccordo per anni fra Cosa nostra e gli apparati istituzionali deviati. Scrive tra l’altro l’avvocato Silvestro nel ricorso che... «il tema fondamentale della vicenda giudiziaria in esame, in relazione alla posizione degli odierni ricorrenti (considerate come le due facce della stessa medaglia), infatti, era (ed è) costituito dall’attribuzione ai medesimi della stessa condotta di partecipazione ad un’associazione per delinquere di tipo mafioso non provata, né in via diretta, mediante l’individuazione di una posizione dagli stessi rivestita e riconosciuta all’interno del consorzio criminoso; né in via indiretta, attraverso la sussistenza di condotte degli imputati, tali da risultare oggettivamente univoche rispetto alla di lui partecipazione all’associazione». Il legale poi spiega, facendo riferimento a vari pronunciamenti della Suprema Corte, che «... la “mera contiguità compiacente”, la “vicinanza” o “disponibilità” nei riguardi di singoli esponenti, anche di spicco, del sodalizio mafioso, non qualificano la condotta del partecipe». Il tema di fondo del ricorso è insomma secondo il difensore - che passa poi in rassegna le decine di dichiarazioni sulla figura di Cattafi e sulla sua vicinanza tra gli altri anche a Nitto Santapaola, che hanno rilasciato negli anni i vari collaboratori di giustizia -, la “mancanza di prove concrete” nel tempo della cosiddetta “organicità” di Cattafi a Cosa nostra barcellonese. L’ambito di discussione di questa vicenda è quello della ormai storica operazione antimafia Gotha 3 sulla famiglia mafiosa del Longano. Questa vicenda processuale era iniziata nel 2012, quando il mafioso barcellonese fu arrestato nell’ambito della “Gotha 3”, condotta all’epoca dai sostituti della Dda di Messina Vito Di Giorgio e Angelo Cavallo con i carabinieri del Ros. Nel corso dello stesso processo Cattafi è stato condannato anche per calunnia, commessa ai danni dell’avvocato Fabio Repici e del collaboratore di giustizia Carmelo Bisognano. Per la calunnia la sua condanna è diventata da tempo irrevocabile. Ma sono anche altri gli attori del processo, visto che sono costituiti parte civile i Comuni siciliani di Barcellona e Mazzarrà S. Andrea, l’impresa Sicilsaldo srl, il Centro studi Pio La Torre e l’Associazione nazionale familiari vittime di mafia, che sono rappresentati rispettivamente dagli avvocati Alvaro Riolo, Ugo Colonna, Giusi Troni, Ettore Barcellona e Fabio Repici. I giudici della Corte d’appello di Reggio Calabria, per la penultima sentenza di questa storia, che risale al 2021, confermata in Cassazione nel 2023, hanno scritto come Rosario Pio Cattafi «almeno dall’ottobre del 1993 al marzo del 2000, abbia fatto parte della cosca mafiosa barcellonese».