«Non vi ostinate a volerla tutta analizzare; contentatevi dell'insieme. La Bara va veduta mentre è in movimento; ferma, non è più che una pallida ombra di se stessa. Quando cammina, gli interni congegni son messi in moto, e le ruote girano in sensi diversi senza che se ne possa seguire i particolari. Mentre in basso, nella piattaforma, un coro di angioletti percorre il gran disco senza muoversi, dodici apostoli attorniano Maria morta. Ebbene, se vi affissate sopra queste figure, le sole conservate di personaggi reali su tutto il carro, voi perderete l'effetto del movimento rotatorio del Sole a destra e della Luna a sinistra, l'uno avanti, l'altra dietro, coi loro pattini, e vi passerà inosservata la macchina del trionfo che si leva sopra quattro pilastri, ed è rappresentata da un cielo del più bel colore che possiate immaginare. E se guardate al Sole e alla luna, sciuperete la vista del mondo, e delle nubi che lo circondano, e degli angeli, che in piedi, adagiati, seduti, con le mani in alto e tutti in atteggiamenti celestiali, popolano la scena; ed il cerchio a festoni con altri angeli e su altre nubi, i nuovi angeli ancora e le nuove nubi tempestate di stelle, e sopra tutti l'Eterno Padre, che slancia al cielo l'Alma Maria, o l'anima di Maria, come molti dicono...».
Le parole dello scrittore palermitano Giuseppe Pitrè (1841-1916), il più grande studioso di folklore e cultura popolare, sono il miglior biglietto da visita possibile, che ci introduce all’antico e sempre nuovo spettacolo della processione dell’Assunta, atto collettivo di fede e devozione e straordinaria festa di popolo. «Non vi ostinate a volerla tutta analizzare», la Vara non è un semplice oggetto da ammirare, in lei c’è, come hanno mirabilmente descritto altri “cronisti del Ferragosto”, il senso stesso del cammino di un popolo. La simbologia è complessa, e va studiata e approfondita, perché ogni volta si scopre un aspetto inedito, così come sanno bene i nostri cultori di storia patria (il compianto, ahinoi, Franz Riccobono, e poi Nino Principato, Francesco Forami, Marco Grassi, per citarne solo alcuni), ma è l’insieme che conta.
«La Vara va veduta in movimento», non è un fenomeno statico, non è neppure la solita statua portata in processione nelle feste patronali, è qualcosa di unico, al punto che, giustamente, l’Amministrazione comunale, con in testa il sindaco Basile e l’assessore alla Cultura Enzo Caruso, hanno avviato le procedure perché venga riconosciuta tra i beni vincolati dall’Unesco, patrimonio dell’Umanità.
«La Vara va veduta in movimento», perché scorre come un fiume verso il mare e, infatti, si usa il linguaggio marinaro, ci sono le corde, i tiratori, i vogatori, c’è il capo Vara che sembra l’uomo ritto sul punto più alto di una feluca, durante la caccia al pesce spada. E tutto scorre accanto a Lei, dietro di Lei, la vita di un popolo, il suo passato, il presente e il futuro, i tragici accadimenti, i momenti memorabili, le paure di chi vive su una terra ballerina e conosce le insidie che si nascondono nelle profondità del suo Stretto, le contraddizioni di una città metropolitana-paese, di una città del Sud che sogna da grande di diventare una delle capitali del nuovo scenario euro-mediterraneo.
«Ferma, non è più che una pallida ombra di se stessa». Grande Pitrè, che ha colto l’essenziale. È una metafora che ci riguarda in prima persona, come singoli e come comunità, se restiamo “fermi”, non siamo che “pallide ombre di noi stessi”. Tutto è movimento, cambiamento, radicale trasformazione, a partire da ciascuno di noi, per poi poter “ri-creare” ogni giorno il senso e la bellezza di vivere su questa sponda dello Stretto. «Se vi affissate sopra queste figure... voi perderete l’effetto del movimento rotatorio del Sole e della Luna... e vi passerà inosservata la macchina del trionfo che si leva sopra quattro pilastri, ed è rappresentata da un cielo del più bel colore che possiate immaginare...». I particolari sono importanti, ma mai come l’unità di tutte le cose, come quel sentirsi parte di un ingranaggio molto più ampio, dove ognuno ha il suo posto, dove ognuno è importante. Quel cielo “del più bel colore che possiate immaginare” è il nostro cielo, il cielo dello Stretto. Se ci facessimo caso con un po’ più di attenzione, cambierebbe anche l’approccio alle nostre giornate, al rapporto, spesso stanco, logoro, malfermo e lamentoso, che abbiamo con la nostra città.
«E se guardate al Sole e alla Luna, sciuperete la vista del mondo...». Perché Messina è solo un puntino in un’immensa carta geografica, perché visti dall’alto, noi come tutte le altre città del pianeta, non siamo che «aiuola che ci fa tanto feroci», per ricorrere al verso di Dante. Ma siamo, nello stesso tempo, il sole, la luna, il cielo azzurro e la vista del mondo.
E sì, perché oggi, come ogni 15 agosto, è qui l’ombelico del mondo, è qui la Festa. Voi che venite da fuori, credeteci, non è campanilismo. È l’orgoglio che si impara da piccoli, quando mamma e papà ti portano in piazza e, da uno degli angoli, avvertendoti di non sporgerti per non essere calpestato dalla folla, ti dicono “guarda, quella è la Madonnina, la stessa che veglia sul porto, e questa è la Vara, la “macchina” più straordinaria che c’è, quella che viene tirata da mille e mille persone, che fa la “girata” in via I Settembre. È il nostro simbolo, la nostra forza, un giorno capirai...». E tu vorresti dire ai tuoi cari, se fossero ancora qui, mamma, papà, ho capito, è questo il Giorno. Non stiamo lì ad “analizzare”, «contentiamoci dell’insieme», godiamoci ogni istante.
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