Una montagna intera è morta. Morte le piante, morti gli alberi, morta la terra, morti chissà quanti animali. Tutto nero, da Tono a Casa Bianca, da Faro Superiore a Curcuraci, da Massa San Giovanni a Massa San Giorgio. Tutto ricoperto di cenere. Strati così spessi che a camminarci sopra sembra di stare in mezzo al deserto, oppure su un bianco terreno da poco innevato. Paesaggio lunare è la definizione che viene in mente con più rapidità. Chi ha percorso i sentieri che portano in cima ai vulcani è a quelli, invece, che più facilmente pensa.
I versanti che confinano con la Statale 113 e che, poi, arrivano giù fino al mare, da verdi iniziano a diventare neri, avvicinandosi alla città, poco dopo la curva di Acqualadroni, all’altezza del viadottino Corsari. Al passaggio delle auto si solleva polvere nera mista a cenere. Ai bordi della strada si vedono i segni del passaggio del fuoco.
Un passaggio che non fa sconti né lascia prigionieri. Divora e distrugge. «Abbiamo respirato fumo per tutta la notte, è stato un attentato alla salute pubblica – dice Mario Biancuzzo, voce storica di questi posti –. E la cosa che più mi ha colpito è che gli incendi sono scoppiati in punti diversi nello stesso momento».
Tutto diventa sempre più monocolore. È curioso che ovunque ci siano bottiglie di vetro, annerite pure quelle. Alcune integre, alcune distrutte, ma ce ne sono centinaia, in ogni tappa di questo viaggio dantesco tra gli infernali gironi dell’ennesimo incendio messinese.
A Tono è evidente come le fiamme abbiano letteralmente attraversato la strada, passandole sopra e anche sotto, lungo il torrente dove troppo spesso si scarica di tutto. «Anche dei grossi copertoni», ci dice, arrabbiata, una donna del posto, che vuol rimanere anonima. «Non mi interessa finire sul giornale, ma che in occasioni come queste tutti ci si aiuti, e non è successo».
In tanti, vinti dalla paura, sono fuggiti quando la situazione è precipitata. Quando il fuoco, ad un certo punto di questo maledetto martedì 25 luglio, è arrivato da tutte le parti. «Alle 3 del mattino l’aria era già caldissima, vedevamo il cielo rosso dalle parti della montagna più a nord. Le fiamme si avvicinavano e poi sono arrivate anche dall’altra parte, giù da Faro Superiore. Praticamente eravamo circondati», racconta ancora la donna, che rivela: «A noi è andata bene, ad altri meno. Anche perché c’erano tizzoni che volavano da una parte all’altra, accendendo altri fuochi. Uno di questi è finito sul tetto della casa di una mia amica, era disperata».
Muoiono anche le piante grasse, che al calore sono abituate, ma fino a un certo punto. Ci sono massi piovuti dal costone, sotto un cartello, “pericolo di frana”, che sembra essere un tetro presagio di quali sono i rischi futuri, in un terreno reso così fragile dal passaggio del fuoco. Casa Bianca ha un nome che sa di beffa, in mezzo a tutto quel nero. Sono nere pure i muri perimetrali di ville e villette. Percorrendo uno dei sentieri che dalla Statale si inerpicano sulla collinetta si coglie ancor più nella sua ampiezza la devastazione della campagna e dei terreni. Il mare, laggiù in fondo, agitato dal maestrale, appare ancora più lontano e stonato.
Tornando al Tono e al bivio inizia la salita verso Faro Superiore. La salita della montagna morta. Così scura che la lingua d’asfalto che l’unico tocco di colore la lingua d’asfalto che la attraversa. È annerito anche il cartello che annuncia l’arrivo a Curcuraci, uno dei villaggi più colpiti dal fuoco. Qua e là si vede ancora del fumo, bracieri sparsi che tardano a spegnersi, come i falò più ostinati che nelle spiagge si trascinano stanchi fino all’alba di Ferragosto. Solo che qui fanno paura, anche se fa meno caldo, anche se il cielo è nuvoloso e concede persino qualche goccia di pioggia.
Il tragitto è spettrale, i canneti invadono la carreggiata, inclinati in una posizione innaturale, spinti da una recente e travolgente forza d’urto, testimonianza della potenza dell’incendio. Dai punti più panoramici, tra Curcuraci e le Masse, lo scenario è lugubre, desolante, impressionante. Non c’è più nulla di verde. Pure il cielo pare volersi rassegnarsi e adeguare al grigiore. Tutto è nero perché il nero è il colore del lutto. Perché qui, alle porte della città, un’intera montagna è morta.
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