Messina

Sabato 23 Novembre 2024

"Quello ingellato in discoteca e io in cella": il neo pentito barcellonese Micale sull’omicidio Alfano IL VERBALE INEDITO

Il cronista Beppe Alfano

Un altro pentito che racconta la verità “silenziosa” sull’omicidio del giornalista Beppe Alfano. Ovvero che ad ucciderlo quella sera di gennaio di trent’anni fa, in via Marconi, a Barcellona Pozzo di Gotto, non sarebbe stato Antonino Merlino. Che però sta quasi finendo di scontare la condanna a ventun anni e mezzo come killer riconosciuto per via giudiziaria definitiva. E un’altra udienza da sopportare per la famiglia, fissata il 20 luglio prossimo davanti al gip Claudia Misale, per l’ennesima richiesta di archiviazione, nonostante tutto. Stavolta a parlare è il neo collaboratore di giustizia Salvatore Micale, in un verbale “top secret”. Lo ha fatto nelle scorse settimane davanti ai magistrati della Dda di Messina e ai carabinieri del Ros («... sono a conoscenza di alcuni dettagli sui mandanti e sugli esecutori»). E quelle otto pagine il procuratore aggiunto Vito Di Giorgio e il sostituto della Dda Antonio Carchietti le hanno trasmesse proprio al gip Misale.

Perché?

Perché il giudice sta decidendo sull’ennesima richiesta di archiviazione presentata dalla Procura di Messina per l’indagine Alfano ter sull’omicidio, che vede ancora formalmente iscritto nel registro degli indagati come esecutore materiale del delitto uno dei killer della cosca, Stefano “Stefanino” Genovese, assistito in questa vicenda dall’avvocato Diego Lanza. Il gip sta decidendo, per un copione giudiziario che in questi anni si è succeduto più volte, tra la richiesta di archiviazione della Procura e l’opposizione depositata dall’avvocato Fabio Repici, che ormai da oltre un decennio insieme alla famiglia del giornalista ucciso chiede che si riannodino una buona volta tutti i fili interrotti di questa esecuzione.

Un dato centrale

Nonostante l’invio al gip di queste nuove dichiarazioni, la Procura ha ribadito la propria richiesta di archiviazione, ritenendo che «... costituiscano dichiarazioni de relato, la cui fonte diretta è pienamente individuabile - ancora una volta, ed esclusivamente -, in D’Amico Carmelo»; e nonostante l’attendibilità di Micale «permangono gli invalicabili limiti dimostrativi già evidenziati nel tenore della richiesta di archiviazione». Allo stato sono già quattro i pentiti che hanno parlato in tempi recenti dell’omicidio Alfano: il primo è stato Carmelo D’Amico, che ha indicato in Stefano Genovese il killer, per averlo visto quella sera sulla scena del delitto con un cappellino (i pentiti dicono che lo adoperava quando entrava in “azione” per conto della cosca, n.d.r.); poi è intervenuto il fratello, Francesco, quindi il pentito milazzese Biagio Grasso, che fu amico di Merlino per lungo tempo e raccontò di aver raccolto le confidenze sulla sua innocenza; adesso ci sono le pagine inedite di Micale. Proprio dopo le dichiarazioni di Grasso fu fatto un tentativo dalla Dda e dalla Mobile di sentire Merlino in carcere, con il suo difensore presente, l’avvocato Giuseppe Lo Presti. Ma alla domanda precisa sulla sua innocenza, Merlino sostanzialmente non rispose. E adesso cosa dice Micale di nuovo? Parecchio. Tre i passaggi più importanti. Intanto conferma che, per quello che ne sa, l’autore fu Genovese e ne discusse direttamente con Merlino in carcere; che il mandante fu il boss Giuseppe Gullotti (già condannato in via definitiva per questa esecuzione, n.d.r.); che Cosa nostra barcellonese tentò il classico mascariamento post esecuzione.

Il contesto

«Qualche giorno dopo l’omicidio mi trovavo in auto con Mazzù Nunziato e D’Amico Carmelo... i due erano venuti a prendermi a casa e ricordo che D’Amico aveva in mano una copia della Gazzetta del Sud che riportava la notizia dell’omicidio di Beppe Alfano. Mazzù commentò “Cappellino lavora”. Con queste parole faceva riferimento a Genovese Stefano che indossava spesso un cappellino ed in particolar modo quando commetteva dei delitti. D’Amico confermò le parole di Mazzù e riferì che la sera in cui era avvenuto l’omicidio aveva visto, prima che avvenisse l’omicidio, Genovese Stefano nei pressi del luogo ove sarebbe poi avvenuto l’omicidio. Lo stesso D’Amico Carmelo aggiunse che aveva notato nei pressi anche Condipodero Basilio...».

Il carcere

«Nello stesso periodo, eravamo sempre reclusi, ricordo che D’Amico Carmelo confermò allo stesso Nino Merlino, alla mia presenza, che lui sapeva benissimo che lo stesso Merlino era innocente. Merlino non fece nessun commento... Aurelio Salvo chiese a noi compagni di cella se ci fosse con noi anche Merlino. Questi era momentaneamente fuori dalla cella, ma appena tornò gli fu presentato. A quel punto lo stesso Aurelio Salvo chiese a Merlino se fosse lui il responsabile dell’omicidio di Beppe Alfano, e Nino Merlino rispose “sì, io sono stato”. Ci fu un attimo di smarrimento da parte nostra, ma immediatamente Merlino “si riprese” e spiegò che aveva detto in quel modo ma non era vero, e piuttosto lo accusavano gli altri dell’omicidio... eravamo presenti in cella a questo episodio oltre a Nino Merlino: io, D’Amico Carmelo, Bontempo Sebastiano “u uappu” e Salvo Aurelio, e forse anche Galati Giordano Vincenzo “Lupin”. Qualche tempo dopo io e Merlino fummo spostati di sezione ed in un’occasione Merlino mi disse “quello tutto ingellato si diverte e va in discoteca ed io sono qui dentro”. Il riferimento, per come io compresi anche se non mi fu espressamente confermato, era Genovese Stefano che era solito curare il proprio aspetto. Lo stesso Merlino si chiese nella stessa occasione come avrebbe reagito questa persona quando la avrebbero presa per l’orecchio e le avrebbero fatto confessare le sue responsabilità. Si riferiva ad un periodo precedente agli arresti per l’operazione Mare Nostrum. Il fatto in questione fu lasciato sottointeso, ma per noi era chiaro che parlavamo dell’omicidio di Beppe Alfano. Io ricordo che in quell’occasione gli dissi che una cosa del genere non sarebbe successa perché nessuno gliel’avrebbe contestato. Ricordo che in quell’occasione Merlino rispose “e che faccio lo pago io?”».

Il mandante

«Il Mazzù mi disse che questo omicidio eccellente era stato fatto uccidendo Alfano Giuseppe ed era stato deciso da Giuseppe Gullotti, anche perché Alfano aveva scritto degli articoli che parlavano di Chiofalo Giuseppe e Pippo Iannello esaltandone il ruolo criminale all’interno della famiglia mafiosa, articoli che pertanto a Gullotti non erano piaciuti».

Il mascariamento

«Un altro dettaglio che intendo riferire è quello che l’associazione si adoperò affinché fosse messa in giro la voce che l’omicidio era stato compiuto per ragioni legate al gioco d’azzardo, o per vicende legate a relazioni extraconiugali. Questa cosa me la dissero D’Amico Carmelo e Mazzù Nunziato».

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