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Messina, operazione Beta: condanne definitive per Lo Castro e Borella

Atto finale nel procedimento in Cassazione per i riti ordinari dell’operazione sul gruppo Romeo-Santapaola. La “cellula” mafiosa collegata al clan etneo che si era radicata in città

Sette su otto condanne diventano definitive. Solo per una si dovrà rifare il processo d'appello a Messina. Ecco l'atto finale in Cassazione davanti ai giudici della prima sezione penale, per uno dei tronconi investigativi più importanti degli ultimi anni, che s’è occupato del cosiddetto “mondo di mezzo” disegnato nell’operazione antimafia Beta. Fu l’inchiesta della Procura e dei carabinieri del Ros sulla cellula mafiosa collegata al clan Santapaola-Ercolano di Catania che si era radicata a Messina. Secondo l’accusa c’era cioè una vera e propria cellula di Cosa nostra con aderenze catanesi sovraordinata rispetto ai clan, che sarebbe stata in grado di avvalersi di professionisti, imprenditori, titolari di società, funzionari pubblici, per gestire gli interessi economici illeciti.

Il verdetto in Cassazione è arrivato nella serata di oggi, rispetto alla sentenza d’appello che si ebbe il 30 maggio dello scorso anno. Ha riguardato solo 8 degli imputati iniziali, ovvero quelli che subirono condanne. In sintesi tra rigetti e dichiarazioni di innammissibilità dei ricorsi diventano definitive le condanne da scontare per il costruttore Carlo Borella e l'avvocato d'affari Andrea Lo Castro, e poi per Michele Spina,  Stefano Barbera, l'ex funzionario comunale di Messina Raffaele Cucinotta, Alfonso Resciniti e Guido La Vista. Solo per Gaetano Lombardo, i giudici hanno disposto l'annullamento con rinvio della precedente sentenza, disponendo la celebrazione di un nuovo processo davanti alla corte d'appello, sempre a di Messina.

La sentenza d’appello del maggio 2022 fu clamorosa per diversi aspetti. Rimasero in piedi solo 8 condanne e si registrarono delle assoluzioni rispetto al primo grado, che ribaltarono completamente la prospettiva. Su venti imputati coinvolti si registrarono globalmente 8 condanne, 4 assoluzioni, 6 dichiarazioni di prescrizione e perfino 2 annullamenti. La sentenza della sezione penale di secondo grado presieduta dal giudice Francesco Tripodi, per Vincenzo Santapaola (cl. 1963) e Pietro Santapaola, entrambi nipoti di Nitto Santapaola in qualità di figli del fratello, in relazione alla contestazione di associazione di stampo mafioso dispose l’annullamento del verdetto di primo grado “perché il fatto è diverso da quello contestato”, con l’invio degli atti alla Procura. Assoluzione parziale, ma rilevante, dall’accusa più grave di concorso esterno all’associazione mafiosa («perché il fatto non sussiste»), registrò poi l’imprenditore ed ex presidente dell’Ance di Messina, Carlo Borella, con una forte riduzione di pena rispetto al primo grado: la condanna d’appello fu di 2 anni e 8 mesi. Pena ridotta anche per l’avvocato d’affari Andrea Lo Castro, che rispetto ai 14 anni del primo grado fu condannato a 9 anni con l’esclusione di un’aggravante mafiosa contestata “in epoca anteriore al 2015”, e l’esclusione parziale per un’altra aggravante, ma fu riconosciuto comunque colpevole di concorso esterno all’associazione mafiosa. Pena ridotta, essendo cadute alcune contestazioni per assoluzioni parziali, anche per Stefano Barbera (8 anni), Michele Spina (8 anni), per il funzionario comunale Raffaele Cucinotta (2 anni, pena sospesa), e per Gaetano Lombardo (2 anni, pena sospesa). Le uniche due conferme della sentenza di condanna di primo grado le registrarono invece Alfonso Resciniti (2 anni e 6 mesi) e Guido La Vista (un anno e 3 mesi).

Parecchi i legali  impegnati oggi, gli avvocati Antonio Catalioto, Annalisa Califano, Salvatore Silvestro, Antonio Giacobello, Nino Favazzo, Erminio Squitieri Cioffi, Isabella Barone, Pierfrancesco Continella, Alberto Gullino e Tino Celi. In appello a Messina furono rigettate le richieste di risarcimento di alcune delle parti civili (Associazione antimafia “A. Agosta”, Fai, Addiopizzo onlus), mentre Barbera e Lo Castro furono condannati a rifondere le spese di giudizio come parte civile al Comune di Messina e al Centro “Pio La Torre”, rappresentati rispettivamente dagli avvocati Giovanni Mannuccia e Massimo Marchese. In Cassazione comunque sono state convocate  tutte le parti civili che hanno preso parte ai procedimenti in primo e e in secondo grado.

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