«La malattia è una coinquilina con cui bisogna fare i conti, ma a cui non bisogna dare troppa importanza». Deborah Chillemi, 52 anni, sorride e va dritta al punto senza enfatizzare. Ti ruba abbastanza tempo e attenzione – aggiunge – per concederle anche più spazio di quanto già non se ne prenda». Deborah è malata di sclerosi multipla da 24 anni. E da 24 anni è impegnata ogni giorno, tutti i giorni, non solo per curare se stessa, ma soprattutto per rendere migliore la vita di tante persone, in prevalenza donne, che si trovano nella sua stessa condizione. La Sclerosi multipla è una malattia che colpisce il sistema nervoso centrale. In Italia ne soffrono in 134mila, in Sicilia 11mila. «Fin dal giorno in cui mi venne diagnosticata – racconta – ho capito che non potevo e non volevo farmi risucchiare in una sorta di autocompatimento e mi sono data subito da fare e sono entrata a far parte dell’Associazione italiana Sclerosi multipla (Aism)». Dal 2019 è la responsabile della Sicilia e da poco anche della provincia di Messina. C’è chi nella propria vita parallela insegue un sogno legato a una forma d’arte senza realizzarlo e chi più fortunato riesce a coltivarlo. Ma c’è anche chi mette la stessa forza e determinazione nel voler diffondere valori come solidarietà e conoscenza che hanno la stessa valenza di un talento artistico. È il caso di Deborah e dei tantissimi (per fortuna!) volontari che si mettono al servizio degli altri, tanto da far diventare il proprio impegno una vera e propria missione. «Sì, una missione, ma senza caricare questa parola di significati altisonanti o eroici – dice col suo leggero accento francese che fa sembrare tutto molto naturale –, per me missione significa lottare giorno per giorno da sola e insieme ad altri volontari per far uscire la malattia dal cono d’ombra in cui spesso viene confinata per paura e vergogna, significa informare e sensibilizzare cittadini e istituzioni». Deborah è belga di Charleroi, ma vive in Sicilia ormai da 30 anni, è sposata, ha tre figli, parla fluentemente cinque lingue e lavora al Royal Palace Hotel. Ha una vita normale, accompagna il figlio al calcetto e una delle due figlie a danza classica, la terza, la più grande, è una promettente giocatrice di pallavolo. Ama cucinare ed è capitato che per la “causa Aism” si sia dovuta lanciare con il paracadute. «Mio padre è siciliano, mia madre belga – racconta –. In Sicilia venivo d’estate, a Furci, dai nonni. Poi quando finii di studiare venni più spesso in Sicilia per fare la guida turistica, d’inverno tornavo a casa. Volevo andare in Sud America, ma un bel giorno, proprio a Furci, conobbi quello che sarebbe diventato mio marito e mi trasferii definitivamente prima sulla riviera jonica e poi a Messina. Ho la doppia cittadinanza, con la testa sto qui e con il cuore in Belgio e viceversa». Le piace lavorare al Royal Palace? “Sì, molto, sono nel gruppo Framon da moltissimi anni. Al Royal mi occupo di diverse cose, tra cui del controllo qualità e del personale. Ho pensato sempre che avrei voluto fare la governante alla Mary Poppins, di carattere sono una molto precisa, certosina. E questo lavoro esalta questo mio modo di essere». Poi un giorno accade qualcosa che le cambia la vita. “Me la stravolse, avevo dei progetti, ero già sposata da quasi tre anni e volevo subito dei figli e invece dovetti fare i conti con una realtà dura e impietosa e rinviare il momento di diventare mamma. Scoprii a 28 anni di avere la Sclerosi multipla del tipo recidivante remittente, che io ho ribattezzato senza rimpianti e senza rimorsi, quando decisi che volevo il terzo figlio contro il parere dei medici. Così come scoprii presto che la Sm è una malattia subdola e imprevedibile». Immagino saranno stati momenti terribili. «Furono giorni convulsi ma ricordo che dopo i primi brutti momenti non mi lasciai travolgere dallo sconforto ed entrai nel 2000 a far parte dell’Aism. Trovai il supporto psicologico che cercavo e da allora l’Aism è in tutto quello che faccio». Una vita per il volontariato. «Aiutare gli altri, diffondere la conoscenza sulle cure, fare proselitismo in particolare nelle scuole, sottolineare l’importanza della riabilitazione sono diventati per me e per tutti quelli con cui lavoro una ragione di vita. Se ognuno di noi facesse la propria parte, ognuno come può, le cose cambierebbero. Ho sempre in mente il racconto senegalese del Colibrì fatto da Camilleri: la giungla andava a fuoco e tutti gli animali scappavano, persino il leone lo stava per fare quando si accorse di un Colibrì che andava verso le fiamme portando nel piccolo becco una goccia d’acqua. Gli chiese dove stesse andando: vado a fare la mia parte per spegnere l’incendio”. Ecco per me e per tantissimi altri il volontariato è proprio questo: fare la propria parte, perché è solo così che si può cambiare la società e un certo modo di pensare che delega agli altri quello che potrebbe essere fatto da ognuno».