Mentre la teste deponeva, una dottoressa che l’ebbe in cura a Verona, e scorrevano i minuti, la tensione in aula è cresciuta parecchio. A un certo punto il suo difensore, che è entrato in aperto contrasto praticamente con tutti, ha minacciato di rimettere il mandato perché non gli era consentito di svolgere correttamente il suo dovere. Poi è tornato sui suoi passi. Ma la tensione rimane tutta al processo che vede alla sbarra per la seconda volta, dopo l’annullamento del primo processo nei mesi scorsi, per omicidio volontario, il 58enne Luigi De Domenico. È il cosiddetto “untore”, accusato d’aver ucciso nascondendo la sua sieropositività la compagna, l’avvocata messinese 45enne che nel luglio del 2017 morì di Aids tra atroci sofferenze. L’udienza di oggi è saltata. Ma quella di ieri non è stata certo semplice da gestire per il presidente della corte d’assise Letteria Silipigni. Sono stati ascoltati nuovamente in aula alcuni medici che si occuparono di De Domenico e della sua patologia, ed è stato proprio mentre deponeva una dottoressa che sono scoppiate le scintille tra il suo difensore, l’avvocato Carlo Autru Ryolo, il pm Roberto Conte e i legali di parte civile Bonni Candido e Elena Montalbano. Ma ieri s’è scoperto altro. Su due donne che ebbero rapporti con De Domenico e hanno testimoniato al primo processo. Erano tutte e due finite sotto indagine per falsa testimonianza per quello che avevano riferito in aula, anche alla luce di quanto aveva scritto nella sentenza la prima corte d’assise. Il pm Conte ha ufficializzato il risultato: per una è stata disposta l’archiviazione, ma per l’altra c’è già l’atto di conclusione delle indagini preliminari. L’inchiesta prosegue.