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Barcellona, pronto soccorso chiuso da lunedì: “Non si gioca a dadi sulla gente”

Addio “temporaneo” al reparto clou dell’ospedale. Lo sconcerto e la preoccupazione provati da tutti a fronte anche delle code a Milazzo

È un misto di rabbia ed amarezza quello che fuoriesce dal ventre della società civile e dai rappresentanti di associazioni e luoghi simbolo del territorio. L'eco della protesta dello scorso 2 dicembre non si è mai placato, perché l'imminente chiusura del Pronto soccorso dell'Ospedale Cutroni Zodda, per molti, è solo l'anticamera della fine, oltre ad una vera e propria negazione del diritto alla salute e alle cure primarie.
Alle iniziative per sollevare il grido di dolore rispetto a decisioni «prese da chi non ha contezza di quanto il territorio del Longano ha bisogno nella sua vastità e nel suo comprensorio», si lega il coro di disappunto. «Da cittadina, esprimo il mio “no” alla chiusura del Pronto soccorso – sottolinea suor Marilena Mercurio dell'oratorio salesiano delle Figlie di Maria Ausiliatrice - Dico “no” al drastico ed insensato depauperamento della sanità pubblica regionale a favore della privata. Il contesto Covid ci ha spiegato ieri e oggi che gli ospedali, i medici di base, le strutture pubbliche ci hanno salvata la vita. L'ospedale di Milazzo è insufficiente ed è inaccettabile che si facciano 10 ore di fila in un pronto soccorso. Non si gioca a dadi sulla gente: è inaccettabile. Ed è inaccettabile la situazione di cui nessuno parla, ovvero del presidio di Neuropsichiatria infantile con il personale ridotto ai minimi termini, con un'esigenza crescente per 13 comuni. Nei mesi scorsi – prosegue suor Marilena – abbiamo ascoltato con piacere due esponenti politici, che sull'ospedale e sulla sanità stanno lavorando quasi in sintonia proprio perché è un diritto senza bandiera e senza partitismi, dunque è necessaria una presa di posizione dei cittadini e dei rappresentanti politici del territorio, come dei sindaci del distretto. Nessuno può minimizzare il problema, perché la sanità deve restare pubblica», conclude suor Marilena Mercurio.

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