Un paradiso non ancora perduto, un tessuto di bellezza assoluta da non gualcire e meno che mai da strappare, nei suoi delicati fili di armonia e incanto. Perché a Ginostra anche il più piccolo degli interventi di cambiamento passa di solito attraverso procedure e tempi estenuanti. Così è giusto e bello. Perché Ginostra è macchia di ginestre e ulivi e capperi cucunci alle pendici del più temibile vulcano d’Europa. Perché è una delle culle archeologiche dell’antica civiltà di Capo Graziano, e perché qui le auto non esistono e le carriole motorizzate sono la sola alternativa agli asinelli per il trasporto sui vicoli, dentro e fuori l’abitato. Ginostra, oggi, conta 40 abitanti che d’estate decuplicano e diventano 400. Eccola la risorsa che, vissuta nel modo giusto, mantiene ed offre ancora un futuro di vita aggregata, che cresce a cavallo dei due ultimi millenni. Ed ancora crescerà. Ma due sostantivi in questo piccolo paradiso, restano categorie di sostanza e forma: l’equilibrio e l’habitat. Sembrerebbe averle violate queste categorie, almeno secondo quanto affermano e denunciano i vertici regionali di Legambiente in un esposto rivolto a tutte le Istituzioni, l’esecuzione di alcuni lavori legati all’investimento d’impresa del magnate svizzero Lukas Ruflin, che a Ginostra giunse la prima volta nel 2006. Innamoratosi del sito, (nel pezzo sottostante lo abbiamo intervistato) ha concepito e sta attuando progetti di “recupero edilizio di due corpi di fabbrica”, finalizzati ad un’azienda, la società agricola Costa Mandorla, produttrice con metodi tradizionali di prodotti organici: olio, mandorle, miele di cappero.
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