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Messina, nei fucili sequestrati nessuna traccia dei proiettili sparati a Ravidà

L’omicidio dell’allevatore trovato morto e bruciato a luglio tra Fiumedinisi e Alì Superiore. Concluse le analisi dei carabinieri del Ris. Si battono altre piste

Riccardo Ravidà

Nessuna compatibilità. Il “verdetto” degli specialisti, i carabinieri del Ris, è chiaro. Nei fucili sequestrati all’indomani dell’omicidio non ci sono tracce compatibili con l’arma che ha sparato e ucciso. Ecco il nuovo clamoroso tassello maturato in Procura in questi giorni nell’inchiesta sul delitto dell’allevatore 34enne Riccardo Ravidà, ucciso e poi bruciato dentro la sua auto, una Toyota Rav 4, la sera del 26 luglio scorso in contrada Ferrera, a cavallo tra i centri ionici di Alì Superiore e Fiumedinisi. Quindi adesso si battono probabilmente altre piste per trovare il bandolo di una vera e propria esecuzione. Allo stato l’inchiesta vede nove indagati, anche tra i proprietari dei fucili a suo tempo sequestrati. Ma adesso è caduto un tassello su cui inquirenti e investigatori evidentemente contavano molto, per trovare delle analogie tra indagati e delitto.
Secondo quanto ipotizzano gli inquirenti ormai da tempo, alla base di quella che è stata una vera e propria esecuzione potrebbe esserci una vecchia faida familiare, rimasta sopita per anni e poi forse improvvisamente riesplosa. Siamo comunque nella prima fase delle indagini, i sospetti devono essere ancora verificati e corroborati da elementi indiziari precisi e chiari.

I nove indagati sono il risultato della maxi operazione coordinata dei carabinieri fatta scattare qualche mese addietro tra Fiumedinisi, Alì Superiore e altri centri ionici, con decine di interrogatori, perquisizioni e controlli. Questo per trovare e sequestrare una serie di fucili e armi varie, nel tentativo di rintracciare quella che ha sparato quella sera per uccidere Ravidà.

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