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La frana di Letojanni sulla A18: il pm chiede 6 condanne pesanti

Il processo sullo smottamento del 2015. Le accuse: lavori eseguiti male e pagati troppo. Coinvolti tra gli altri l’ex dg del Cas Pirrone, il funzionario Sceusa e un imprenditore. Contestati anche disastro ambientale e peculato

La frana di Letojanni che nel 2015 ha tagliato in due l’A18 Messina-Catania è scandalosamente ancora lì, e i lavori per la sistemazione della tratta non sono ancora conlcusi, a distanza di ben 8 anni dai fatti. E questo pomeriggio, al processo nato da quella vicenda, si sono registrate le richiese dell'accusa formulate dal pm Francesca Bonanzinga, nei confornti dei sei imputati, cui la Procura contesta una lunga lista di accuse a vario titolo. Si va dal disastro ambientale all’inadempimento in pubbliche forniture, dal peculato al falso in atto pubblico, dal falso del privato all’abuso d’ufficio.
Nel procedimento sono coinvolti - le qualifiche si riferiscono all’epoca dei fatti - l’allora direttore generale del Cas Salvatore Pirrone, il responsabile dell’Ufficio tecnico del Cas Gaspare Sceusa, l’imprenditore Francesco Musumeci, originario di Piedimonte Etneo, amministratore unico della “Musumeci Costruzioni Generali Spa”. E poi il geometra che era in quel periodo in servizio al Consorzio, Antonio Spitaleri, in pensione del 2016, che fu una sorta di «direttore dei lavori autonominatosi», l’ingegnere Francesco Crinò e il geologo Giuseppe Torre. Questi ultimi due professionisti privati furono scelti dall’impresa Musumeci per il progetto di messa in sicurezza che poi si sarebbe rivelato non adeguato, perché il Cas non ritenne nemmeno di far progettare l’opera a tecnici interni del Consorzio.
Ecco le richieste di pena formulate dal pm  Bonanzinga ai giudici della sezione penale del tribunale, presieduta da Maria Eugenia Grimaldi: 7 anni e 10 mesi di reclusione per Pirrone e Sceusa; 7 anni per Spitaleri; 6 anni e 10 mesi per Musumeci; 5 anni per Crinò e Torre. Poi l'assoluzione con la formula "perché il fatto non sussiste" dall'ipotesi di frode nelle pubbiche forniture, che era contestata solo ad alcuni.
In concreto secondo l’accusa l’appalto affidato dal Cas per la messa in sicurezza della bretella autostradale dopo la frana, sarebbe servito anche a “gonfiare” per decine di migliaia di euro i compensi per l’impresa Musumeci Spa che effettuò i lavori di messa in sicurezza, per un appalto da mezzo milione di euro. E secondo i calcoli del consulente della Procura, l’ing. Concetto Pietro Costa, la ditta dovrebbe restituire al Cas circa 120mila euro. Secondo la magistratura i lavori urgenti per sistemare la frana di Letojanni furono pagati troppo, in difformità al prezziario Anas, ed eseguiti pure male, visto che nel novembre del 2016 a distanza di un anno dal collassamento della collina, avvenuto il 5 ottobre del 2015 al km 32+700, si verificò lo sfondamento della protezione con la caduta di massi e detriti nell’unica corsia a valle che era rimasta aperta al transito, a causa dell’inadeguatezza della rete di protezione montata. Come del resto ha attestato il Genio Civile. Questo pomeriggio dopo l'intervento del pm hanno preso la parola l'avvocato Domenico Andrè, che rappresenta il Cas costitutito parte civile nel procedimento, e alcuni difensori degli imputati, gli avvocati Rosario Trimarchi, Giovanni Calamoneri e Rosa Anna Scalia. Il 4 aprile, data di rinvio del processo, interverrano invece gli avvocati  Alberto Gullino,  Francesca Bilardo e Antonio Pillera. Poi, probabilmente quello stesso giorno, sarà sentenza. E la frana di Letojanni sarà ancora lì, a dividere in due l'autostrada A18.

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