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Messina, scacco alla Tari: le sei mosse contro i “furbetti”

L’impennata dello smaltimento dei rifiuti rischi di far arrivare bollette più care del 20%: le contromisure di Palazzo Zanca

Roberto Cicala

Fa paura la Tari del 2023. La temono gli amministratori perchè sono costretti a a dover fare i conti con la più grave impennata mai registrata, ma presto dovranno temerla anche tutti cittadini che non hanno le carte in regola. E non sono pochi.
Palazzo Zanca sta per far partire un pacchetto di misure che punta a ridurre il carico del tributo per i rifiuti, secondo il vecchio intramontabile adagio del “ se si paga tutti, si paga meno”.

Il caro smaltimento

Partiamo da un punto fisso: smaltire la frazione indifferenziata dei rifiuti cittadini, nel 2023 costerà parecchio di più di quanto non sia stato nel ‘22, che era già stato un record. La necessità dell’unico gestore per la Sicilia orientale, la Sicula Trasporti di Lentini, di dover trasferire, dopo il processo di trattamento meccanico biologico, il prodotto in impianti di smaltimento sparsi in giro per i quattro angoli dell’Isola, o peggio, a Rotterdam in Olanda via mare, ha fatto lievitare i prezzi. Basti pensare che a gennaio dell’anno scorso lo smaltimento di una tonnellata di indifferenziata costava al Comune 211 euro, a novembre è salito 438 euro e a dicembre è sceso a 385. Questi prezzi riportati sulla previsione del 2023, quella con cui verrà completato il piano tariffario Tari, porta in poche parole ad un aumento del costo complessivo di quasi 10 milioni: da 54 a 64 milioni. In poche parole quasi 20% in più.

Messina quanto sei cara!

Nessuno vuole sottoporsi a cuor leggero a questo salasso. E allora sono iniziate le manovre «per sterilizzare questo aumento, dice l’assessore al contrasto all’evasione Roberto Cicala. In un lavoro di comparazione con le altre grandi città d’Italia, l’esperto informatico, ha fatto emergere la notevole differenza fra i costi pro capite del servizio e quelli della bolletta. Come di evince dalla tabella che pubblichiamo, se si dividesse il costo del 2022 per coprire l’intero ciclo del servizio, a Messina 54 milioni, per il numero di abitanti, risulterebbe un costo di 248,21 euro a testa. La media delle grandi città italiane è di 243,27 con Catania a 344 euro e Palermo a 208 euro. In ogni caso Messina starebbe pienamente dentro parametri del tutto compatibili (+2%). Il problema nasce quando si passa al valore della bolletta Tari. Usando come riferimento una famiglia di tre persone con appartamento di 90 mq, la media nelle stesse grandi città sale a 326 euro, mentre Messina arriva a 440 euro. Cioè il 34% in più. La stessa famiglia a Trento paga 160 euro, a Verona (città dai numeri simili a Messina) paga 204, Palermo 304 euro e Catania 536 euro. Messina, fra le grandi città prese in considerazione è quella con la maggiore differenza fra il costo pro capite del servizio e quello della bolletta media (1,77 di coefficiente, contro l’1,33 delle media nazionale). «Questi dati – dice l’assessore Roberto Cicala – ci fanno pensare che i costi alla partenza siano simili alle altre città, ma che poi ci sia una distribuzione non corretta fra tutti gli immobili.

Le sei mosse

E qui scattano le verifiche che secondo l’assessore potrebbero portare «ad una riduzione del 30% della quota Tari». Bisogna capire quanto tempo ci vorrà per arrivare a questa revisione dei carichi tributari, anche Cicala punta a chiudere il gap già nel 2023.
Fatto sta che presto partiranno migliaia di comunicazioni agli utenti i cui dati non risultano completi e per i quali potrebbe essere arrivata una Tari non corretta. Dovranno rispondere ad un questionario per aggiornare la banca dati. In città ci sono 240.000 immobili per i quali dovrebbe essere pagato il tributo. Ma, per esempio, c’è già una differenza di 8000 famiglie fra il registro Tari, i contribuenti noti, e l’anagrafica del Comune. Il resto del controllo che dovrà fare emergere evasori o chi non denuncia puntualmente i dati degli immobili a disposizione passa da sei punti.
1) la verifica della corretta riduzione delle case a disposizione, cioè il Comune vuol capire se le seconde case sono tali o sono in locazione non dichiarata o utilizzati in altro modo; 2) Saranno chiesti e verificati i dati catastali in bolletta per far emergere la corretta superficie metrica. In diversi casi c’è chi dichiara una casa di 200 mq, quando in realtà ne ha due da 100 mq e la Tari, per la parte variabile, ha un valore superiore; 3) la verifica del corretta destinazione uso degli immobili. Molti studi professionali, per esempio, risultano ad uso domestico mentre dovrebbero pagare come “commerciali”; 4) un altro quesito che sarà posto ai contribuenti punterà a capire se chi produce i rifiuti sia il proprietario della casa ( che magari è una sola persona) o chi vive in affitto ( che può essere una famiglia numerosa); 5) Ci sono molti immobili che risultano “esentati” cioè considerati senza i requisiti minimi per viverci (seconde case vuote e sfitte, per esempio). Per questi il Comune vuol fare chiarezza se davvero sono effettivamente non idonei alla produzione dei rifiuti. E un cambio di regolamento darà una stretta alle norme; 6) gli immobili fantasma, quelli sconosciuti perchè non dichiarati ma i cui proprietari avrebbero dovuto partecipare alla divisione della bolletta Tari più cara d’Italia.

 

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