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Messina, i casi dei processi "annullati" per i giurati over 65: «La legge è chiara: nullità assoluta»

Le ragioni di una condanna a 22 anni cancellata per un clamoroso caso che ha interessato tutta Italia, quello del cosiddetto “untore” sieropositivo che portò alla morte la compagna. Un processo da rifare dall’inizio perché due giurati della corte d’assise erano “fuori età”.
E un caso analogo, il secondo in pochi mesi, che si prospetta nell’orizzonte giudiziario sempre a Messina. Con un’altra condanna, questa volta all’ergastolo per un atroce femminicidio, che potrebbe essere spazzata via per lo stesso cavillo del giurato “fuori età”.
Si inserisce in questo contesto di “incertezza del diritto”, che ha suscitato grande indignazione non soltanto in città, il deposito delle motivazioni della sentenza con cui, il 20 dicembre scorso, la corte d’assise d’appello presieduta dal giudice Carmelo Blatti con a latere la collega Silvana Cannizzaro, ha dichiarato nulla la condanna di primo grado a 22 anni per il 58enne Luigi De Domenico, accusato di omicidio volontario della sua ex compagna, alla quale non comunicò mai di essere sieropositivo, portandola alla morte.
Si tratta di una quarantina di pagine in cui il presidente Blatti - è lui l’estensore del provvedimento -, spiega in maniera molto chiara anche perché la corte si è in un certo senso “trovata costretta” ad annullare il processo di primo grado: tecnicamente è stato accolto il primo motivo d’appello proposto dal difensore di De Domenico, l’avvocato Carlo Autru Ryolo, ovvero che in primo grado due giurati della corte d’assise hanno superato il limite d’età dei 65 anni previsto dalla legge in corso di processo, e hanno anche partecipato alla deliberazione della sentenza. Anche l’accusa, in questo caso il procuratore generale facente funzioni Maurizio Salamone, nel suo intervento aveva chiesto preliminarmente che si “azzerasse” tutto, non entrando nemmeno nel merito della vicenda processuale e della condanna di primo grado.
Si tratta di questioni molto complesse ovviamente, che cerchiamo di semplificare con alcuni passaggi meno tecnici della sentenza, in cui la corte ribatte alle prospettazioni ed eccezioni che i legali di parte civile, per i familiari della compagna dell’untore poi deceduta, gli avvocati Bonni Candido ed Elena Montalbano, hanno messo sul piatto del processo d’appello. Con una partecipazione e un afflato fuori dal comune nelle poche udienze che si sono tenute.
Il primo tema: «La parte civile - scrive il giudice Blatti -, sostiene che il requisito dell’età non inferiore ai 30 e non superiore ai 65 anni, richiesto anch’esso dall'art. 9 della legge 10 aprile 1951 n. 287, riguardi solo l’accesso alle funzioni giurisdizionali dei giudici popolari perché nessuna norma stabilisce a che età questi ultimi debbano cessare dalla funzione, cosicché, una volta chiamato in servizio e a comporre la Corte per un processo, il giudice popolare dovrebbe proseguire nell’esercizio delle funzioni fino a che la decisione sia assunta e, dunque, anche oltre il compimento del 65° anno di età. Tale opinione non è condivisa da alcuna pronuncia, neanche con riferimento a questioni analoghe riguardanti altri requisiti di capacità. Anzi, in tutte le occasioni in cui ha avuto modo di affrontare la questione sia direttamente sia indirettamente la giurisprudenza di merito e di legittimità ha affermato l’opposto principio sul quale si fonda ora il primo motivo d’appello. Si afferma costantemente, infatti, che il requisito del non superamento del 65° anno di età, al pari degli altri requisiti di capacità, deve sussistere non soltanto al momento della formazione delle liste dei giudici popolari ma anche fino al momento in cui viene assunta la decisione (vengono poi citati a sostegno una serie di pronunciamenti della Cassazione e anche un recentissimo caso della corte d’assise d’appello di Palermo del novembre 2022, che ha annullato una condanna di primo grado per lo stesso motivo, n.d.r.). Ritiene questa Corte che tale interpretazione assolutamente dominante debba essere condivisa. Infatti - prosegue a dire il giudice -, con riferimento ai giudici popolari il legislatore all’art. 9 della legge n. 287/1951 ha elencato tra i requisiti che devono sussistere fino al momento della decisione anche quello dell’età non superiore ai 65 anni. È la lettera della legge che impone di ritenere che quest’ultimo sia uno dei requisiti di capacità generica, il cui venir meno determina una causa di nullità assoluta degli atti del processo».

Ecco un’altra delle questioni poste dalla parte civile, affrontata poi dai giudici: «Secondo la parte civile l'interpretazione - scrive il giudice Blatti -, che prevede che i giudici popolari cessino le loro funzioni e siano dispensati dal servizio al raggiungimento del 65° anno sarebbe irrazionale e violerebbe diversi precetti costituzionali, perché avrebbe come effetto l'impossibilità di proseguire il processo con il giudice ultrasessantacinquenne e non vi sarebbe neanche la possibilità di sostituirlo, così imponendo la rinnovazione dell’intero dibattimento. Si fonda tale ultimo assunto sul fatto che l’art. 26 della legge n. 287/1951 prevede la possibilità di ricorrere ai giudici aggiunti solo per la sostituzione dei giudici effettivi nel caso di eventuali loro assenze o impedimenti, mentre non è previsto il caso in cui il giudice debba essere sostituito per perdita della capacità generica e, nello specifico, per il raggiungimento del 65° anno di età. È tale interpretazione, tuttavia, ad essere irrazionale, poiché attraverso di essa si vorrebbe affermare che il giudice effettivo, che semplicemente non si sia presentato, rimanendo assente, possa essere senz’altro sostituito in forza del citato art. 26, mentre ciò non potrebbe accadere nel caso del giudice che sia assente perché opportunamente dispensato dal servizio dal presidente, che abbia apprezzato la perdita in capo allo stesso di uno qualunque dei requisiti di capacità. L’impostazione in questione giunge dunque al risultato assurdo secondo cui una qualunque assenza potrebbe legittimare la sostituzione ma non quella specifica e qualificata imposta dalla dispensa dal servizio fondata su un certificato della pubblica autorità che, per esempio, attesti la perdita della cittadinanza ovvero il raggiungimento del 65° anno».

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