Un altro giurato oltre i 65 anni. Anche l'ergastolo per l'omicidio di Lorena Quaranta verso l'annullamento!
A questo punto sembra una vera e drammatica “epidemia giudiziaria”. Che cancella clamorosamente processi e impone di ricelebrarli, con un nuovo atroce supplizio ulteriore per i familiari di chi è stato ucciso. Dopo il caso recente dell’annullamento in appello della sentenza di primo grado a 22 anni di condanna per il 58enne Luigi De Domenico, è il caso del cosiddetto “untore” sieropositivo che contagiò la compagna portandola alla morte, adesso si profila un nuovo annullamento per un altro caso di cui s’è occupata tutta l’Italia: il processo per il femminicidio di Lorena Quaranta, che nel luglio scorso ha visto la condanna all’ergastolo del suo ex, l’infermiere 30enne calabrese Antonio De Pace. Perché? Anche in quella giuria di primo grado, così com’è successo per il caso dell’untore, un giurato che componeva la corte d’assise aveva superato in corso di processo la soglia massima dei 65 anni per far parte del collegio. Ne è convinto, carte alla mano, uno dei difensori di De Pace, l’avvocato Salvatore Silvestro, che nei suoi motivi d’appello depositati di recente mette tra le questioni da trattare in secondo grado, al primo posto, proprio questo “tarlo” dei 65 anni compiuti.
La storia
Il trentenne calabrese e reo confesso Antonio De Pace la notte del 31 marzo 2020, durante il primo lockdown generale, uccise la fidanzata agrigentina e laureanda in Medicina a Messina Lorena Quaranta. Aveva 27 anni, veniva da Favara. Il femminicidio si consumò nell’abitazione in cui la coppia conviveva da un anno a Furci Siculo, un piccolo comune della provincia ionica di Messina. A luglio l’infermiere di Vibo Valentia era stato condannato anche a risarcire i familiari di Lorena e il Centro donne antiviolenza, parti civili nel processo. «Giustizia è fatta - dichiarò l’avvocato Giuseppe Barba, il legale della famiglia Quaranta -, non avevamo dubbi sull’applicazione della massima pena. Per i genitori di Lorena -ha aggiunto- ieri è stato il giorno del sollievo dopo quasi due anni e mezzo di angoscia». Adesso è tutto da rifare. La Giustizia si deve “rifare”.
Il precedente
Il 20 dicembre scorso sono stati “cancellati” in appello per un vizio di forma i 22 anni di carcere decisi in primo grado per il 58enne Luigi De Domenico, accusato di omicidio volontario per la morte della sua compagna, a cui contagiò la sieropositività senza mai rivelarlo. La vittima era l’avvocata messinese 45enne che poi morì di Aids, proprio perché non si riuscì a curare sconoscendo la causa della sua malattia. È stata accolta la prospettazione del difensore di De Domenico, l’avvocato Carlo Autru Ryolo, che aveva trovato un clamoroso “tarlo” dopo la sentenza di primo grado: due giurati avevano superato i 65 anni d’età e e non avrebbero potuto più partecipare al processo. Una svista clamorosa nella procedura, tramutatasi in uno scoglio processuale insormontabile.