... Veniva travolta dall’onda di piena e trascinata verso valle dalla furia delle acque... È una frase di carta bollata e di pietra racchiusa in una sentenza. Che rende giustizia ma non rende indietro quelle tre vite spezzate dopo ventiquattro anni. Ventiquattro anni di lotte contro i mulini a vento giudiziari spesso insensibili e ciechi. Antonio Carità, dipendente comunale andato da poco in pensione, la moglie Maria Coppolino, casalinga tutta dedicata alla famiglia e alla piccola nipotina, e la figlia Angela, che studiava all’Università, morirono in quella maledetta sera del 27 settembre 1998 quando un alluvione breve ma intenso s’abbattè su Messina e la squarciò in pezzi come un vaso di coccio sbreccato. Avevano 63 il padre e 59 la madre, 29 la figlia. Stavano rientrando verso casa sulla loro Ford Fiesta in contrada Conte, alla cooperativa “Beata Eustochia”, e l’auto mentre risaliva la strada ricavata all’interno del torrente Ciaramita venne travolta dall’onda di piena e di fango e trascinata verso valle. Morirono tutti e tre. Che silenzio che c’era quando i vigili del fuoco con le fotoelettriche acese da ore, a tarda sera, trovarono il corpo di Angela, imprigionato, nel torrente, sotto il vecchio ponte dell’Annunziata. Centinaia di persone a guardare le complicate operazioni eppure un silenzio religioso e sacro per quella vita rubata dal fango. Antonio, potendo contare sulla sua esperienza maturata negli anni di lavoro all’Ufficio annona e mercati del Comune e sulla professionalità dei figli Giovanni, analista contabile, e Giovanna, ragioniera, nutriva il progetto di avviare insieme a loro uno studio di consulenza, tant’è che nei mesi precedenti la tragedia il figlio Giovanni aveva iniziato a lavorare con lui. Rimasero proprio loro due a scontare la vita che restava, Giovanni e Giovanna, gli altri due figli che quella sera non erano sulla Ford Fiesta. Leggi l'articolo completo sull'edizione cartacea di Gazzetta del Sud - Messina